Non c’è tregua nello Yemen. Ancora scontri. Ancora morti. E la popolazione è allo stremo. Costretta ogni giorno a lottare per accedere ad acqua pulita, contrastare le epidemie, raggiungere gli aiuti umanitari. È Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie, a raccontare al Sir cosa sta succedendo nello Yemen e soprattutto quali conseguenze hanno gli scontri sulla popolazione. Sono state le Nazioni Unite a denunciare l’uccisione lo scorso 8 agosto di 40 persone e il ferimento di altre 260 nel porto meridionale di Aden. “È scoraggiante – ha dichiarato la coordinatrice umanitaria dell’Onu per lo Yemen, Lisa Grande – il fatto che durante le celebrazioni di Eid-al-Adha ci siano famiglie in lutto per la morte dei loro cari invece di essere impegnate a celebrare in pace ed armonia”.
“Nelle ultime settimane c’è stato un ulteriore elemento di complicazione all’interno di una guerra già complessa e molto difficile da spiegare”, conferma Pezzati. E precisa: “Nel sud, nella zona cioè del Paese che vede come capitale Aden, è in atto una sorta di conflitto interno. Una parte delle forze sostenute dalla colazione saudita, per la precisione il Southern Transitional Council, sostenuto principalmente dagli Emirati Arabi, ha fatto un colpo di Stato riuscendo ad occupare posti chiavi della amministrazione di Aden. A questo punto l’Arabia Saudita ha dato un ultimatum chiedendo al Consiglio di Transizione del Sud di interrompere l’azione altrimenti sarebbero intervenuti in modo pesante. Per il momento di Consiglio ha accettato ma c’è da capire come evolverà la situazione”. Il Southern Transitional Council (Stc) è una forza molto vicina agli Emirati Arabi: ha come obiettivo la costituzione di uno Stato indipendente del Sud secondo il principio di separazione del Paese. Gli scontri di Aden sono solo l’ultimo atto di una guerra civile complicatissima che sta prostrando dal 2015 la popolazione. Una guerra che oltre tutto si colloca all’interno di una più ampia partita a scacchi anche a livello regionale tra gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita.
Oxfam è presente in Yemen dal 1984. Già prima di questa guerra, lo Yemen era uno dei Paesi più poveri del mondo e il più povero dell’area. “Siamo presenti da 35 anni – sottolinea Pezzati – ed abbiamo quindi avuto modo di accreditarci, guadagnare fiducia e credibilità presso la popolazione”. Sia nel Nord sia nel Sud Oxfam è presente in 8 governatorati, coprendo soprattutto le zone più calde. In questi 4 anni di guerra civile, ha raggiunto più di 4 milioni di persone. Sono specializzati nel portare acqua nelle crisi umanitarie più gravi: lo fanno attraverso i camion oppure costruiscono sistemi di raccolta e laddove è possibile ripristinano acquedotti e reti idriche, nonché sistemi di canalizzazione delle acque reflue, per il contrasto alla diffusione di epidemie.
“La situazione è grave”, racconta il rappresentante Oxfam. Il primo grande problema è l’accesso umanitario, la possibilità cioè per gli operatori umanitari di arrivare nei luoghi del bisogno. E questo è dovuto all’intensificarsi degli scontri terrestri e ai check point che sono talvolta gestiti da milizie locali e non riconosciute che mettono a rischio l’incolumità degli operatori. C’è pertanto bisogno di una normalizzazione della situazione anche per facilitare l’accesso degli aiuti umanitari. Pezzati spiega che i tempi di percorrenze da un posto all’altro del Paese si sono moltiplicati per 4 e “se prima per raggiungere un luogo ci volevano 3 ore, adesso ce ne vogliono almeno 12”. Il secondo problema – che è poi legato al primo – è l’arrivo via mare dei beni essenziali nel Paese, nei porti di Hodeidah e Aden. Questo vuol dire che i prezzi di beni primari vanno alle stelle. “Il tutto si inserisce in un contesto umanitario che è il più grave al mondo”.
Secondo dati Oxfam, su 30 milioni di abitanti, 24 hanno bisogno di assistenza umanitaria. Di questi, più della metà, 14 milioni, in modo grave. 8 milioni sono le persone gravemente malnutrite e 18 milioni quelle esposte a insicurezza alimentare (non sanno cioè se faranno un pasto successivo a quello che hanno fatto). Si contano almeno 18 milioni di persone che hanno bisogno di acqua pulita o sono senza accesso ai servizi sanitari. In più ci sono 3 milioni di sfollati. Dall’inizio del conflitto in Yemen, più di 7.500 bambini sono stati uccisi o feriti. C’è poi lo spettro delle epidemie, perché “quando non hai nulla da mangiare, il tuo corpo è debilitato e non hai accesso all’acqua pulita, sei maggiormente esposto ad epidemie e una di quelle che più preoccupa è il colera. In Yemen si è registrato il record di casi di colera: 1,2 milioni di persone sono state contagiate e solo nel 2019, si contano centinaia di morti per colera”.
“Una vittoria molto importante, ma l’Italia può fare molto di più”. Oxfam ha fatto parte di quel nutrito gruppo di ong che nei mesi scorsi unite nella “Rete italiana per il disarmo” hanno chiesto al governo lo stop alle esportazioni di armi italiane nel conflitto armato in Yemen. Dopo la mozione del governo, approvata dalla Camera il 26 giugno, il direttore generale della Rwm ha annunciato lo stop per 18 mesi della fabbricazione degli ordigni acquistati da Arabia Saudita ed Emirati Arabi. “Per noi è stata una vittoria molto importante”, dice Pezzati che però aggiunge subito: “si può fare molto di più. Intanto si può allargare l’embargo a tutti i dispositivi di armi e non soltanto ai missili e alle bombe. E si può allargare lo stop a tutti i paesi coinvolti e non solo agli Emirati Arabi e Arabia Saudita. Chiediamo inoltre che l’Italia assuma un ruolo di leadership nel contesto europeo per arrivare ad un embargo europeo”. Inoltre, conclude il rappresentante Oxfam, “l’Italia può fare molto di più a livello di finanziamenti: c’è un grave bisogno di soldi: il piano di risposta umanitaria delle Nazioni Unite aveva preventivato un impegno di 4,2 miliardi di dollari. In questo momento è finanziato solo al 34%. L’appello è che la comunità internazionale faccia di più ma anche che l’Italia che ha messo a preventivo solamente 5 milioni di euro, si impegni maggiormente”.