(Articolo su pace e integrazione di Simona Siotto, consigliere comunale di FdI da VicenzaPiù Viva n. 10, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Da Ghali a Giorgio Nebbia via Vicenza: «la pace è figlia della giustizia… e, parafrasando, si può ben dire che l’ambiente è figlio, a sua volta, della pace».
Poco prima di comporre questa mia riflessione alla radio passava – per caso, assolutamente per caso – una canzone di Ghali, cantante non certo della mia generazione, con la canzone “Casa Mia”: ha un testo che, può sembrare strano, sicuramente semplice ma di impatto, che ho subito apprezzato molto e che, se capita, canto con i miei due figli più piccoli, in macchina. Un segno quasi karmico direi, posto che la musica, come la letteratura, ha sicuramente la capacità magica di fare riflettere e possibilmente di migliorare il pensiero o quantomeno di accompagnarlo. E, allora, proviamoci. Pace, guerra ed integrazione le definirei, in ricordo di uno dei filosofi che maggiormente mi hanno colpito durante gli studi liceali, come l’eterno ritorno dell’uguale, per rappresentare quei concetti con i quali tutte le culture, tutte le società, tutte le città ed alla fine tutti gli uomini e donne, di ogni epoca e momento storico, finiscono, prima o poi, volenti o nolenti, con il doversi confrontare, se non scontrare. Volgo lo sguardo alla mia Vicenza e colgo tutte le contraddizioni delle politiche, sociali, economiche ed ambientali, che si sono succedute negli anni e che, evidentemente, non sono riuscite a fare né tesoro né applicazione pragmatica dei concetti di convivenza e di società civile. Questo è vero per ogni città, non solo italiana, ma a Vicenza la realtà è quotidianamente fatta della coesistenza con la comunità americana, da un lato, integrata in modo ancora astratto perché chiusa, anche fisicamente, nella sua dimensione, e di altre etnie di svariata provenienza, che non sempre hanno fatto loro il tema di una vera integrazione.
La sensazione, a volte, come persona che lavora da tanti anni, oltre che come amministratore, ma soprattutto come genitore di ragazzi che hanno sempre frequentato la scuola pubblica è che l’integrazione spesso interessi più a noi vicentini che a chi a Vicenza si trova a vivere, lavorare e studiare.
E questo nonostante Vicenza sia pacificamente ed oggettivamente riconosciuta come una città assolutamente vivibile, molto a dimensione umana e familiare e sicuramente accogliente (il termine tollerante, invece, non mi piace, e non lo uso appositamente, perché è una parola che ha in sé, in radice, il germe della diffidenza). La cultura di oggi ha un merito, che rischia però di essere anche il suo limite: quello di aver abbattuto barriere e muri e di averci insegnato ad essere trasversali in ogni ragionamento.
Ma a volte la sensazione è che si sia fermata qua, senza riuscire ad offrire alle nuove generazioni gli strumenti per costruire se non nuovi ponti anche solo sentierini, che diano un senso a quelle vecchie fondamenta che adesso stanno lì, a chiedersi cosa ne sarà di loro e che cosa succederà. Forse è per questo che la generazione attuale di ragazzi, straordinariamente sensibile e preparata, a volte sembra quasi smarrita, priva di sogni. In un mondo che negli ultimi anni non ha visto alcun conflitto bellico nel mondo risolversi e addirittura nascerne di nuovi, di gravi e drammatici, e tutti aventi radici profonde e perse nel tempo, e che vede moltiplicarsi nelle strade delle nostre città episodi di violenza, di inciviltà e di illegalità, credo che i nostri giovani meritino risposte serie, degne di una società che affonda le sue radici nella culla della cultura, con tutti i suoi rigori ma anche con tutta la sua capacità di adattarsi, comunque, al tempo che scorre. La pace e l’integrazione passano, a mio avviso, necessariamente per il rispetto di se stessi, perché quel rispetto diventi rispetto dell’altro; rispetto della propria cultura per avere gli strumenti per rispettare la cultura altrui; rispetto degli spazi propri per rispettare gli spazi altrui: casa mia, casa tua, insomma… Passano, ancora e necessariamente, da una cultura che accetta le differenze e le celebra, ma non le appiattisce mai, perché altrimenti finirebbe per demonizzarle ed alla fine alzare quei muri che si erano, invece, cosi faticosamente abbattuti; passano per l’amore per la propria città, che troppe volte però ai giovani vicentini ha più chiuso porte in faccia che aperto possibilità. Io, di rispetto, in giro ne vedo troppo poco: poco verso le Istituzioni, poco verso gli insegnanti, poco verso le forze pubbliche, poco verso le vittime di incidenti stradali, di ingiustizie, poco verso i medici. Vedo, tristemente, negli anni, una devoluzione verso una tolleranza che non è sana ma finisce per essere anarchia, colgo troppe volte la forza di chi urla di più e più forte a danno di chi avrebbe ragione, ma tace per educazione, o per paura o per rassegnazione.
Ecco, io non tollero più la tolleranza a tutti i costi, le porte aperte a tutti i costi, l’accettazione di tutto e di tutti, lo smantellare la cultura italiana perché è di moda la fusione con le altre culture. Credo in un mondo in cui ci sia spazio per tutti, nel rispetto di tutti, ma che deve prima di tutto rispettare le singole storie e le singole culture.
E soprattutto credo che questa tolleranza spinta stia facendo gravi danni, anche a Vicenza, ove vedo sempre più distanti e chiuse in se stesse le cosiddette seconde generazioni di extracomunitari che poca voglia hanno di comprendere il luogo in cui vivono e che, di quella tolleranza, sembrano a volte voler solo far tesoro quando sfocia nell’illegalità e nel lassismo. La pace, il rispetto, l’integrazione, una società civile, un ambiente sano passano necessariamente per la tutela della legalità: senza giustizia non vi è pace, e soprattutto non vi è pace, che sia duratura, che sia vera e che sia destinata alla speranza di durare se non corrisponde alla legalità.
Giorgio Nebbia scriveva che «la pace è figlia della giustizia, lo diceva anche il profeta Isaia, tanti anni fa, e, parafrasando, si può ben dire che l’ambiente è figlio, a sua volta, della pace». Ai giovani vicentini auguri di fare tesoro di queste parole, sempre.