Padre Gino Alberto Faccioli e la grande “sinfonia” della preghiera in vista del Giubileo del 2025 e dell’anno giubilare mariano del 2026 a Vicenza

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Papa Francesco apre la Porta Santa (Giubileo straordinario del 2015)
Papa Francesco apre la Porta Santa (Giubileo straordinario del 2015)

Con questo suo scritto sul Giubileo del 2025, che precede l’anno giubilare mariano del 2026 a Vicenza, abbiamo l’onore di iniziare ad ospitare sui nostri media padre Gino Alberto Faccioli, frate Servo di Maria, dottore in Teologia Spirituale e licenziato in Teologia mariana, direttore della rivista La Madonna di Monte Berico, già direttore dell’ISSR “Santa Maria di Monte Berico”, autore di pubblicazioni teologico-spirituali.


Il Giubileo, fin dalla sua istituzione avvenuta per volontà di Papa Bonifacio VIII nel 1300, è stato un evento di grande rilevanza, ecclesiale e sociale, in quanto era l’occasione nella quale ristabilire il corretto rapporto nei confronti di Dio, tra le persone e con la creazione, e comportava la remissione dei debiti, la restituzione dei terreni alienati e il riposo della terra.

monte berico Giornata della vita consacrata BPVI
Il Santuario di Monte Berico visto dal parco di Villa Guiccioli. Foto: Marta Cardini

Il Giubileo, proposto da papa Francesco per il prossimo 2025 e che, peraltro, a Vicenza anticiperà l’anno giubilare mariano che inizierà il 7 marzo 2026 (seicento anni della prima apparizione), ma che già ora è costellato di celebrazioni e incontri di preghiera per ringraziare Dio e la Vergine per questo fausto dono, oggi più che mai è occasione di riconciliazione tra gli uomini e tra questi e il creato, anzi nei confronti di questi è motivo per recuperare il mandato che Dio fin dagli inizi della creazione aveva affidato all’uomo: custodire e far crescere il creato, non di dominarlo e sfruttarlo (cf. Gen 1,26-31).

Questa volontà “riconciliatrice” di papa Francesco, la si coglie in alcuni passaggi della lettera che invia a mons. Fisichella, nella quale esprime il suo “desiderio giubilare” che nasce dalla costatazione che: «Negli ultimi due anni, non c’è stato un Paese che non sia stato sconvolto dall’improvvisa epidemia che, oltre ad aver fatto toccare con mano il dramma della morte in solitudine, l’incertezza e la provvisorietà dell’esistenza, ha modificato il nostro modo di vivere. Come cristiani abbiamo patito insieme le stesse sofferenze e limitazioni.

Le nostre chiese sono rimaste chiuse, così come le scuole, le fabbriche, gli uffici, i negozi e i luoghi dedicati al tempo libero. Tutti abbiamo visto limitate alcune libertà e la pandemia, oltre al dolore, ha suscitato talvolta nel nostro animo il dubbio, la paura, lo smarrimento. […]. Abbiamo piena fiducia che l’epidemia possa essere superata e il mondo ritrovare i suoi ritmi di relazioni personali e di vita sociale. Questo sarà più facilmente raggiungibile nella misura in cui si agirà con fattiva solidarietà, in modo che non vengano trascurate le popolazioni più indigenti» (Papa Francesco, Lettera a S.E. Rino Fisichella per il Giubileo 2025, 2022).

Ma affinché l’uomo riscopra una “fattiva solidarietà” è necessario, anzi oserei dire fondamentale, che prima di tutto si riconcili con se stesso, riscopri la sua “identità originaria”, la quale si è “compiuta” quando l’uomo ha scoperto una componente imprescindibile della sua realtà: la dimensione spirituale. L’uomo nella sua evoluzione da Homo habilis si è trasformato in homo symbolicus, la sua creatività culturale è il risultato del suo immaginario. Ma il ritrovamento di Çatal Hüyük dove vi sono rappresentate per la prima volta figure oranti: uomini che levano le braccia verso le divinità ci dice che l’homo symbolicus si trasforma in homo religiosus, “sperimentando” il sacro a un livello che è al di sopra di lui (cf. J. Ries, Dalla cultura di Olduvai alle migrazioni di Abramo, Milano 1993).

L’homo religiosus, è l’uomo che crede all’esistenza di una realtà che trascende il mondo, la quale ne ispira e orienta il comportamento, gli atti, la vita, e che senso all’essere dell’uomo nel cosmo, aiutandolo a comprendere la propria condizione umana. Quest’uomo in ogni tappa della sua storia ha creato cultura, la quale gli ha permesso di dar conto della propria credenza religiosa.

Qualsiasi religione porta con sé delle credenze, delle idee religiose, delle dottrine che nel loro insieme danno all’uomo un’idea di trascendenza, che in senso generale, si può definire “teologia”, la quale aiuta l’homo religiosus a comprendere la propria situazione, la propria condizione umana.

L’Homo religiosus è dunque l’uomo nella totalità delle sue dimensioni storica e transtorica.

È questo “uomo” dunque che deve recuperarsi. Per questo dovrà essere dedicato ad «una grande “sinfonia” di preghiera il 2024, l’anno che precede l’evento giubilare del 2025, che peraltro, a Vicenza anticiperà l’anno giubilare mariano che inizierà il 7 marzo 2026 (seicento anni della prima apparizione), ma che già ora è costellato di celebrazioni e incontri di preghiera per ringraziare Dio e la Vergine per questo fausto dono.

Deve recuperarsi questo uomo anzitutto per riassaporare il desiderio di stare alla presenza del Signore, ascoltarlo e adorarlo. Preghiera, inoltre, per ringraziare Dio dei tanti doni del suo amore per noi e lodare la sua opera nella creazione, che impegna tutti al rispetto e all’azione concreta e responsabile per la sua salvaguardia. Preghiera come voce “del cuore solo e dell’anima sola” (cfr At 4,32), che si traduce nella solidarietà e nella condivisione del pane quotidiano. Preghiera che permette ad ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi all’unico Dio, per esprimergli quanto è riposto nel segreto del cuore. Preghiera come via maestra verso la santità, che conduce a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione» (Papa Francesco, Ibid).

Partendo da questo invito, cerchiamo di capire che cos’è la preghiera, questo tempo fatto spazio per Dio.

Il tempo; tutto il tempo appartiene a Dio, infatti, è Lui il Signore del creato, a lui tutto appartiene. Vivere nel tempo per l’uomo è vivere in Dio (anche se questo spesso avviene in modo inconsapevole). All’interno di questo tempo che l’uomo ha “rinchiuso” nello stereotipo dell’ora, del giorno, della settimana ecc. esiste un periodo in cui l’uomo si ferma a riflettere e a dialogare con Dio. È il tempo nel quale l’uomo, sempre più preso dal ritmo frenetico della vita d’oggi, si ferma e rientra in se stesso, “scende” nel suo intimo per dialogare con Dio.

Per pregare non bisogna essere degli “scalatori” ma degli “speleologi”. Si, speleologi, perché per incontrare Dio e con lui dialogare bisogna discendere nelle profondità della nostra anima. Qui nel cielo dell’anima, luogo dove ognuno è veramente se steso senza maschera alcuna, abita Colui che ci da vita, è qui che egli parla a noi comunicandoci il suo progetto d’amore aiutandoci ad attuarlo.

Per pregare Dio, quindi, non bisogna diventare “scalatori” perché non si sale, ma bisogna diventare “speleologi” perché si deve saper discendere nelle profondità di noi stessi fino ad arrivare in un “luogo” chiamato silenzio. È in questo luogo che dimora la Parola di Dio, è qui che riposa e risuona. Per cui il silenzio non è un tacere, un non-parlare, ma è «un’espressione dello stato interiore» (Guardini R., Volontà e verità, Brescia 1978, 34), esprimente lo stare con Dio.

Dio, dunque, si rivela nel silenzio e nel silenzio va ascoltato, solo così si attua l’autentica conoscenza, di Dio e la propria.

Parlare con Dio è quindi possibile solo nella misura in cui vivo il silenzio, perché è questo il linguaggio da lui usato e da lui ascoltato. Scriveva Giovanni della Croce: «il solo linguaggio che Dio ascolta è il silenzio d’amore»; infatti è questo il linguaggio usato da due innamorati, i quali spesso si guardano senza parlare ma allo stesso tempo arrivano a conoscersi reciprocamente e in profondità.

È nel silenzio che Dio ha manifestato la sua vera identità, essere amore. Infatti, il concepimento di Gesù avviene nel silenzio di Nazaret. La nascita del Salvatore avviene nel quieto silenzio della notte, come ci ricorda la liturgia del Natale. Anche il “capolavoro” di Dio, la risurrezione di suo Figlio avviene nella notte e nel silenzio.

Il silenzio quindi non solo è il luogo dell’agire privilegiato di Dio, ma è anche la modalità privilegiata per incontrarlo. Gesù stesso ce lo ha indicato salendo solo sul monte a pregare (cf. Mt 14, 23; Mc 6, 46). Perché solo un cuore che è nel silenzio, ha la capacità e la disponibilità ad ascoltare.

È nel silenzio che l’uomo comprende sé stesso in rapporto al Totalmente Altro, e di conseguenza si riconcilia con sé stesso, con l’umanità ed il creato e può quindi tessere nuovi rapporti, non più incentrati su una smodata ricerca di arricchire il proprio patrimonio personale, ma sulla fattiva solidarietà, così come esorta papa Francesco.