Palazzo Da Schio, la “Ca’ d’Oro” di Vicenza

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La facciata del Palazzo
La facciata di Palazzo Da Schio

Storie Vicentine ci racconta storia e architettura di palazzo Da Schio, la Ca’ d’Oro di Vicenza.

E’ dalla metà del Cinquecento che l’elegante facciata della Ca’ d’Oro impreziosisce il corso Palladio, lungo il tratto che scendendo in direzione del teatro Olimpico precede lo sbocco su piazza Matteotti. Al civico 147, proprio di fianco alla chiesa di San Gaetano, sorge questo bel palazzo nobiliare che offre un esempio tra i più raffinati dell’architettura civile vicentina.

L’edificio si distingue per le sue forme armoniche e sontuose, un tempo splendidamente decorate con affreschi policromi che dovevano suscitare l’ammirazione di quanti transitavano per la via principale del centro antico di Vicenza. La sua denominazione completa (Caldogno Dal Toso Franceschini Da Schio) è utile perché richiama i vari casati nobiliari che si sono succeduti nella proprietà del palazzo, il quale tuttavia è sempre stato meglio conosciuto come la Ca’ d’Oro, sia per le evidenti analogie con le caratteristiche architetture veneziane del Trecento, sia per i preziosi fregi in foglia d’oro che ornavano gli
affreschi e le colonne della facciata. Quest’ultima venne realizzata, insieme alla parte prospiciente il corso, nel secolo del massimo splendore della città di Vicenza, quando l’aristocrazia locale faceva a gara per affidare al Palladio la costruzione dei propri palazzi simbolo. Ma la storia dell’edificio della Ca’ d’Oro è molto più antica.

la facciata con il grande portale
Fig.2. La facciata con il grande portale.

La struttura originaria risale infatti al XIV secolo, quando le sue fondamenta furono gettate sopra i resti di costruzioni preesistenti sorte ancora in epoca romana lungo la via Postumia, il cui tracciato passava per Vicenza coincidendo appunto con l’asse dell’attuale corso Palladio. Tracce di un manufatto a pianta quadrata precedente alla “fase gotica” sono ancora visibili in una delle due cantine sotterranee (quella di sinistra), dove i materiali adoperati e le tecniche di costruzione sembrano differenziarsi rispetto al resto del palazzo (fig.1).

n.1.Le cantine sotteraneee del palazzo
Fig.1. Le cantine sotterranee del palazzo

Non si conosce il nome dell’architetto al quale si deve la progettazione di quel primo fabbricato trecentesco. In compenso sappiamo che a farlo erigere a suo tempo era stato qualcuno che apparteneva ad una delle più antiche casate vicentine, quella dei Caldogno, e che in seguito il nobile Nicolò dal Toso, esponente di una ricca famiglia dedita al commercio della seta, lo acquistò nel 1477 dai fratelli Nicolò, Girolamo e Pietro Caldogno eredi del conte Michele. Il settore di sud-ovest del nucleo allora esistente, all’incrocio fra corso Palladio e contra’ San Gaetano, comprendeva, oltre alla parte adibita ad abitazione, alcune
stalle, la corte e un pozzo del quale rimangono oggi le vestigia, parzialmente interrate, vicino al muro di confine con la chiesa di San Gaetano.
Il complesso era sorto evidentemente in una posizione strategica, che fin dalla fine del XII secolo rappresentava il punto di arrivo per chi giungeva da porta Castello, ossia dal capo opposto del corso, e al tempo stesso la “testa” per chi entrava in città provenendo da porta Padova. Non a caso nei documenti più antichi la Ca’ d’Oro veniva chiamata Casa de Statio ossia ‘luogo di sosta’, in prossimità del quale si trovava una posta per il cambio dei cavalli e un Nollo per l’affitto di carriaggi e animali da traino o da soma. Ne parlano anche le Croniche di Vicenza di Giambattista Pagliarino (redatte nel secondo ‘400 ma pubblicate soltanto nel 1663), dove fra i molti possedimenti della famiglia Caldogno spicca appunto un importante edificio ubicato in Capo di Strada Maggiore.

Il cortile del palazzo
Il cortile del palazzo

L’area dunque, conosciuta come “Testa del Corso” o “Corso al Nollo”, aveva un suo specifico valore sia urbanistico che economico, essendo facilmente collegabile, attraverso Santa Barbara, con piazza delle Biade e quindi piazza dei Signori. Fino alla prima metà del Settecento, poi, oltre alle scuderie per il ricovero e il nolo di cavalli e carrozze, vi si trovava un’osteria all’insegna “Al Cappello”, punto di ritrovo e di riferimento importante per la città, che doveva essere assai frequentata da mercanti e viaggiatori.
Negli ultimi decenni del Quattrocento fra i nuovi proprietari dell’edificio troviamo Matteo Dal Toso. Fu lui ad assumersi l’onere e il merito di ampliare il fabbricato verso la parte interna e il cortile, ma soprattutto di imprimere alla facciata del palazzo le eleganti forme che oggi ammiriamo, oltre al maestoso portale ad arco che ne costituisce l’ingresso.

La famiglia Dal Toso rimase proprietaria del palazzo per circa settant’anni. Nel 1546, infatti, i fratelli Nicolò e Andrea unitamente alla cognata Alba, rimasta vedova del loro fratello Paolo, lo vendettero per 3600 ducati d’oro al nobile vicentino Alvise Antonio Franceschini, appartenente ad una ricca famiglia che nel secolo successivo sarebbe arrivata a possedere uno dei più importanti stabilimenti di seta d’Italia.
Nel 1677, alla morte di uno dei discendenti di nome Marcantonio, l’edificio passò in eredità alla sorella di questi, Dorotea, che aveva sposato il nobile Nicola di Giulio da Schio. Da allora in poi – e ai nostri giorni sono quasi 350 anni – la proprietà della Ca’ d’Oro è stata e rimane della famiglia Da Schio.

La facciata principale

La facciata che dà su corso Palladio presenta un alto basamento con zoccolo in pietra e due livelli superiori che costituiscono i piani nobili, di stile gotico fiorito con due serie di quadrifore ad archi trilobati a sesto acuto e colonne corinzie. Ai due lati delle quadrifore
si aprono finestre dello stesso stile, ciascuna con proprio balcone e decorazione scultorea.
Le sale che affacciano sul corso comunicavano con la doppia loggia in pietra gialla di Nanto posta sul retro, oggi tamponata e finestrata. Questa, originariamente collegata al pianterreno da una scala gotica che saliva dalla corte interna, mostra nei suoi due ordini di arcate uno stile già rinascimentale, per cui la sua datazione dovrebbe essere di poco posteriore all’innalzamento della facciata.
I poggioli sul corso sporgono su piccoli modiglioni scolpiti e i davanzali sono sostenuti da colonnine rotonde. Il grande portale (1480-1490), in posizione asimmetrica rispetto al centro della linea di basamento (fig.2), viene da alcuni attribuito a Lorenzo da Bologna ed è caratterizzato da forme tipicamente lombardesche nelle quali altri riconoscono la mano di artisti della bottega di Tommaso da Lugano e Bernardino da Como. Presenta un maestoso arco a tutto sesto in marmo rosso (fig.3), finemente decorato da bassorilievi che raffigurano candelabri, cornucopie, maschere grottesche, animali fantastici e foglie d’acanto, quasi certamente opera, per l’appunto, di maestranze lombarde. Dalle estreme sporgenze dei capitelli si innalzano due cordoni scolpiti che raggiungono la fascia su cui posano i davanzali del primo piano. Lo scudo che si osserva al centro tra svolazzi ornamentali doveva esibire un tempo lo stemma del casato e il cimiero, entrambi rimossi
probabilmente all’epoca della dominazione francese.

Fig. 3. L'arco a tutto sesto del portale
Fig. 3. L’arco a tutto sesto del portale

Purtroppo gli affreschi policromi che ricoprivano la facciata sono andati quasi del tutto perduti a causa dei bombardamenti subiti dalla città durante la seconda guerra mondiale
che hanno provocato gravi danni al palazzo. Alcune testimonianze documentarie e fotografiche, insieme ai pochi resti che si sono conservati, fanno pensare che le decorazioni raffigurassero scene ambientate all’epoca delle Crociate.

Dal Settecento ad oggi

L’interno del palazzo, “ampio e signorile” come lo definì Sebastiano Rumor, venne profondamente alterato nel corso del Seicento con interventi che ne modificarono l’aspetto, alzando il pavimento e i parapetti delle finestre del secondo piano, scolpendo capitelli e otturando gli archi. Ma fu soprattutto nel secolo successivo che l’edificio nel suo complesso subì le trasformazioni più importanti. Nel 1772, infatti, il conte Scipione da Schio allo scopo di ampliare la Ca’ d’Oro decise di inglobare nell’edificio parte dei fabbricati adiacenti, facendo inoltre costruire all’interno del palazzo, ad opera dello scultore e tagliapietre Francesco Leoni, uno scalone monumentale dalle forme classico-barocche che dal piano terra porta ai piani superiori.
Alla base dello scalone un imponente gruppo scultoreo in pietra rappresenta allegoricamente “il Valore e la Frode” o meglio, stando alle Memorie di Giovanni da Schio, “la Virtù che sconfigge il Vizio”, opera anche questa non dello scultore Ottone
Calderari, come si era ipotizzato in passato, ma dello stesso Francesco Leoni (fig.4).
Nella seconda metà dell’Ottocento si affronta per la prima volta il problema di come recuperare e preservare gli affreschi della facciata che sono divenuti ormai largamente illeggibili. Dimostrando grande sensibilità e notevoli capacità tecniche il conte Almerico da Schio procede ad un rilievo fotografico dell’intera facciata (1865), un’operazione tra le prime in assoluto per quanto riguarda le architetture vicentine.

Fig. 4. La scultura Il Valore e la Frode , opera di Francesco Leoni
Fig. 4. La scultura Il Valore e la Frode , opera di Francesco Leoni

Il successivo progetto di restauro, affidato all’architetto vicentino Luigi Toniato, non trova realizzazione, ma a noi restano i suoi preziosi studi e la documentazione su frammenti di pittura e porzioni affrescate con raffigurazioni che in seguito sono andate perdute.
Oggi il Palazzo Da Schio Ca’ d’Oro è dimora privata e abitazione della famiglia Da Schio, che nel corso dei secoli ha mantenuto e valorizzato tale patrimonio, vivendo il palazzo e così conservandone l’integrità e l’autenticità, ma anche adeguandolo al passare del tempo nella struttura e nella funzione.

Di Giorgio Trivelli da Storie Vicentine n. 15-2023. Foto di Umberto Cornale
Tratto da Il palazzo Da Schio Ca’ d’Oro di Vicenza, Cornedo Vic., Mediafactory 2019

Bibliografia e fonti
Sebastiano Rumor, La Ca’ d’Oro o il Palazzo degli Schio a Vicenza, 1901 [ripubbl. da Edizioni Ca’ d’Oro, 2015]; Marco Abbatecola, Fabio Gechele, Mariarosa Zen, Ricerche su alcuni esempi del gotico civile a Vicenza, Tesi di laurea, IUAV, Venezia a.a. 1988-89, pp. 72-118 (in ASVI n. cat. 595).