Non è un dolce, il panettone, è una bandiera. Negli anni, nei secoli, da golosità tradizionale, si è trasformato in oggetto di studio, simbolo di fantasia, perfino in baluardo finanziario. È sinonimo di Natale, di dolce brindisi della notte di San Silvestro, ma dietro, dentro il panettone, c’è altro. Il primo mistero è il nome e la provenienza. Panettone potrebbe derivare da una storpiatura di quel giovane pasticciere/panettiere, Antonio (al Nord detto “Toni”), che avrebbe inventato per sbaglio un prodotto speciale: il pane di Toni, el pan del Toni… il panettone: le trasformazioni lessicali linguistiche di questa golosità.
Con Massimo Alberini e Dino Villani poi, giornalisti e pubblicitari milanesi, si faceva in fretta a dare la paternità meneghina a questo dolce. Se poi aggiungete che Motta e Alemagna, uno all’Ortica, l’altro a San Siro, ne erano i celeberrimi produttori, il gioco è fatto. Rimangono pochissimi pasticcieri artigiani che continuano a farne, in casa, dieci al giorno, ma le produzioni, pur con elementi di qualità, sono appannaggio di aziende di maggiori dimensioni: pensiamo al cuneese (di Fossano) Balocco, al piemontese Maina, al romagnolo (di Forlì) Flamigni, ai veronesi Bauli o Melegatti…
Abbiamo lasciato per ultimo il Veneto perché è lì che pascono prodotti di qualità in numeri non piccoli. Un nome solo: Loison (che avete visto alcune volte in televisione nei 20 anni già passati di Melaverde). Tutto inizia con il bisnonno Alessandro, cinque figli, che manda avanti ai primi del Novecento una trattoria con “alimentari e generi diversi”. Poi il timone passa al figlio Tranquillo, che nel 1938, quindi proprio 80 anni fa, a Costabissara (Vicenza) inizia come panettiere.
Uno dei figli, Alessandro Loison, comincia a fare il pasticciere. Dario Loison è un gran birichino: sospeso per insulti dall’ingiusta maestra in quarta elementare, finisce in collegio e ci rimane fino alla prima superiore. Era tanto ribelle che intraprese la carriera militare per poi mettersi a girare il mondo e fare un po’ di tutto e di tutto un po’: operaio, confezionatore di pacchi, pizzaiolo industriale… Tornato nell’azienda di famiglia, comincia a dare una mano, anche con il dormire 5 ore per notte, arrivare in fabbrica alle 4 del mattino davanti ai forni… Ora questo simbolo vicentino del Natale italiano ha un fatturato di 9 milioni di euro: la metà sono panettoni che vanno all’estero tra Germania, Francia, Spagna, Cina e Filippine.
di Edoardo Raspelli
per Melaverde Magazine, dicembre 2018