Parco Querini, Romana Caoduro (Civiltà del Verde): il GdV non pubblica lettera, prende spunto e crea confusione

353
Parco Querini
serre Parco Querini

Il Giornale di Vicenza il 20 agosto scorso (due giorni fa) – ci scrive Romana Caoduro, Presidente Associazione Civiltà del Verde – ha pubblicato un articolo dedicato al Parco Querini, scaturito da una lettera che avevamo inviato, ma non pubblicata. Ne è uscito un quadro che, anziché chiarire lo stato dell’arte, crea confusione perché pone attenzione solo su un aspetto da noi evidenziato, senza dire nulla sui lavori e sui danni che si stanno provocando al parco a causa dei lavori di costruzione dei nuovi manufatti nell’area delle serre.

Civiltà del Verde intende dunque tornare sul tema per fare chiarezza. Le affermazioni dell’assessore Celebron, assessore al verde!, puntano a giustificare il taglio delle piante dicendo che esse erano spontanee e senza valore. Ma non si è detto che erano ammalate? E poi in un parco della natura di Parco Querini la nascita e crescita di piante non solo è normale ma anche un elemento di valore soprattutto se queste avevano raggiunto dimensioni importanti pronte per diventare, con il passare degli anni, alberi monumentali. Inutile ricordare all’assessore e a quanti stanno operando nel parco che le piante monumentali sono frutto di paziente attesa che esse possano crescere. Se, al contrario, si fosse applicato il principio promosso da Celebron quando mai riusciremo ad averne di imponenti come si possono ammirare in tutti i grandi parchi storici? I nostri amministratori comunali, passati e presenti, sanno davvero cos’è un parco storico?

Qui di seguito il testo della lettera su Parco Querini che era stata scritta al GdV

Abbiamo più volte lanciato un appello perché a Parco Querini non venissero tagliati alberi che avevano l’unica colpa di intralciare i lavori di costruzione di un manufatto inutile, invasivo e del tutto in contrasto con la natura e la storia del parco storico: un bene prezioso e unico che la nostra città, come dimostrano i fatti, non è in grado di tutelare. L’appello lanciato nell’estate del 2018, sottoscritto da 2500 persone, è rimasto inascoltato da chi ha il compito di gestire il nostro patrimonio pubblico. E così gli alberi che proteggevano e abbellivano la zona delle serre (ex serre per i tecnici e gli amministratori) il 29 luglio sono stati tagliati: due platani e cinque robinie. Un taglio che si aggiunge a un altro dello scorso inverno grazie al quale sono state letteralmente “fatte fuori” altre tre piante: un grande platano e due robinie. Nessuno ne parla.

Alberi tagliati perché? Forse era troppo difficile ammettere, con onestà, sin dall’inizio, che le piante intralciavano la costruzione del manufatto (per ora la parte destinata a servizi igienici e a vano tecnico) con il suo corredo di sottoservizi che solcano in profondità il terreno interferendo con le radici delle piante limitrofe. Per questo si è affermato, senza dimostrare con analisi e documentazione necessarie, previste dalle procedure di legge, che questi alberi erano malati e pericolosi per l’incolumità delle persone, in particolare di chi lavora al cantiere. Questa la ragione scelta per dire che andavano tagliati. Ora Celabron dichiara che erano spontanee e di poco valore. Una versione ufficiale della vicenda non c’è, sebbene il danno prodotto alle bellezze naturali e paesaggistiche non è un fatto di poco conto che può essere compiuto senza conseguenze.

Piante tagliate senza una motivazione chiara mentre altre, presenti in una diversa zona del parco, il cosiddetto “boschetto” a nord, realmente malate di “grafiosi” dell’olmo, segnalate come alberi da abbattere (oggi morti) ancora lì ad aspettare da mesi un taglio assolutamente necessario perché la malattia non si propaghi colpendo altri alberi del parco ma anche di strade e giardini limitrofi. E poi la chiamano cura del verde!

Vogliamo ricordare a chi si occupa di cultura e di verde che siamo in un parco storico monumentale e ciò che lo rende tale è la sua genesi e poi il disegno, le masse arboree, i colori, i coni visuali, le emergenze architettoniche e artistiche. Un parco originariamente privato, voluto più di due secoli fa (prima decade dell’800) il cui progettista non è ufficialmente noto ma che molti studiosi ipotizzano possa essere il grande innovatore di giardini secondo lo stile romantico dell’epoca, Giuseppe Jappelli, che frequentava Vicenza. Non è dunque un caso che in molti scritti storici si trovi l’indicazione di “serre jappelliane”!

Perché erano importanti questi alberi? Per tantissime ragioni. Perché creavano una quinta scenica al tempietto verso nord-est, perché costituivano un filtro visivo e acustico rispetto alle visuali negative e ai rumori del trafficato Viale Rodolfi, contribuendo a rendere il parco un’oasi di tranquillità e di silenzio.

Un attento e sapiente intervento, corretto rispetto alle norme di tutela di un bene di questo valore, non avrebbe mai alterato così violentemente il luogo. Si sarebbe adattato ad esso conservandone le sue peculiarità, aumentandone il pregio. Prima il parco e poi il resto!

Il tempietto che sovrasta la collina appositamente costruita nell’800, rilievo quasi sempre presente nel giardino romantico, è stato creato per ammirare, a 360 gradi, le diverse parti del parco (serre comprese) e della città. Eliminata la massa verde degli alberi che facevano da schermo verso est appare la nuova prospettiva, inedita quanto scioccante, scaturita dalla “sensibile” creatività dei progettisti, quella dell’ex Seminario nuovo, costruzione degli anni ’60, davvero mediocre, che le piante silenziosamente e generosamente schermavano.

Ora che lo scempio che chiedevamo fosse risparmiato è invece stato purtroppo compiuto, restiamo in attesa di vedere crescere i tanti pilastri di fondazione impiantati per circa 17 metri nel terreno con lo scopo di renderlo sufficientemente armato così da reggere la struttura pesantissima della scatola-corazza di acciaio ossidato (scelta progettuale molto in voga di questi tempi tra gli architetti e quindi diffusa un po’ ovunque) dentro la quale verranno letteralmente chiuse, anzi nascoste, le serre. Ciò che dovrà essere ammirato non sono le serre preesistenti, parte integrante dell’estetica e della funzione del parco, ma l’opera moderna, la firma dell’architetto che qualcuno ritiene mancasse al Parco Querini per renderlo davvero attraente! Perché, sembra davvero chiaro visto ciò che sta per essere costruito, che sarebbe stato troppo complesso realizzare un restauro conservativo filologico come già avvenuto in molti altri parchi in Italia e all’estero: un intervento delicato e rispettoso come quello proposto dalla nostra associazione sin dal 2010, un progetto donato al Comune che lo ha poi rielaborato per presentarlo in forma di stesura preliminare già nel 2013 all’allora Soprintendente Gaudini. Un intervento che nella stesura originale chiedeva e suggeriva il restauro conservativo delle serre e la collocazione dei servizi igienici all’interno della torretta belvedere, oggi lasciata al suo destino di morente rovina.

Il nuovo edificio progettato e in corso di realizzazione occupa invece uno spazio tutto a sé, sul cono visuale del tempietto appositamente per ospitare WC e il vano tecnico: un schiaffo al buon senso, al buon gusto, alla cultura! Pensate quante soluzioni molto meno invasive si potevano e dovevano ipotizzare prima di procedere alla realizzazione di questa soluzione che prevede inoltre l’apertura di un varco (“sbrego” sarebbe meglio definirlo) violando a piacimento le mura medievali per consentire l’accesso ai WC direttamente dall’esterno (Viale Rodolfi)! Sono questi la “lungimiranza”, il “doveroso rispetto” per un bene vincolato e tutelato dall’UNESCO che la nostra città e i nostri amministratori mostrano di avere? Qualcuno risponderà mai di questo danno voluto da pochi e realizzato con i soldi di tutti noi?

In questi giorni si legge che i turisti preferiscono Bassano e Marostica a Vicenza. Non sembra una scelta priva di senso. Una città come la nostra avrebbe moltissimi luoghi da offrire, oltre alla già ultra pubblicizzata Piazza dei Signori con le vie d’accesso trasformate in mense e mescite di aperitivi non-stop, invalicabili dai passanti. Avrebbe angoli silenziosi, riparati, ricchi di storia da raccontare e da far vivere senza clamore, come molti turisti oggi chiedono. Ma evidentemente sono luoghi poco inclini alle nuove mode, dove tutto diventa funzionale al divertimento di tipo parabalneare, perché proprio questo chiede il mercato, vuole la “gente”!

Parco Querini non ha questa vocazione, né questa natura. Per ora, almeno. Anche se viene il dubbio che ciò che si sta costruendo all’interno del parco, completato in modo definitivo il progetto in cantiere, con i suoi 324 mq di area servizi (oggi in costruzione) e i 540 mq di ristorante, oltre alla caffetteria dentro l’antico manufatto delle serre, abbia un obiettivo preciso che va verso una direzione mai sperimentata prima. Il parco sarà aperto, come dicevamo, anche di sera grazie all’ingresso appositamente aperto sulle mura medievali (alla faccia della loro tutela!): una “porta” che consentirà l’accesso diretto alla nuova “location”, come si usa dire oggi, di cui la città aveva davvero un gran bisogno perché, mancando del tutto di fantasia e creatività, di sensibilità per i luoghi e di rispetto per il patrimonio culturale ereditato e preservato nei secoli, la bellezza è già lì, a disposizione. A costo zero e da privatizzare quanto prima.

Volere è potere, dice il proverbio! Purtroppo è l’arrogante legge dei tempi. Povera la nostra città. Poveri noi.