E meno male che c’è il Pordenone, sennò l’LR Vicenza sarebbe la maglia nera assoluta della Serie B. La squadra friulana evita l’onta ai biancorossi aggiudicandosi non solo l’ultimo posto in classifica (per altro con un solo punto di distacco) ma anche quasi tutte le statistiche negative. I numeri del “buon team” (definizione del presidente Stefano Rosso) vicentino fanno comunque paura: con quella a Parma nove sconfitte in undici partite, nove gol segnati e ventidue subiti, peggior rendimento interno (un punto in cinque match e due gol all’attivo), sei gare senza segnare, nemmeno una clean sheet.
E questi sono solo i numeri. Se poi andiamo a vedere la qualità del gioco espresso dall’Lr Vicenza, il consuntivo è ancora peggiore perché il Lane, dopo quasi un terzo di campionato, non ha ancora una identità tattica definita né una condizione atletica adeguata.
È impressionante, poi, il basso rendimento di quasi tutti i giocatori. È un gruppo che ricorda quello selezionato da Pino Caramanno nel campionato 1990-1991, il secondo dell’era Dalle Carbonare, in cui l’allenatore di etnia albanese aveva voluto calciatori che avevano militato nel girone sud della Serie C e che erano vistosamente inadeguati a quello settentrionale. I meno giovani ricorderanno sicuramente Castrense Campanella, Trionfo Carnà, Ignazio Gnoffo, Diego Ficarra, Rocco Macrì, Giuseppe Troise. Vedendo i biancorossi di oggi, mi ritorna in mente la pochezza di quei giocatori.
La differenza sta nel fatto che quelli di Caramanno non avevano pedigree mentre questi hanno tutti o quasi qualcosa di buono nel curriculum professionale. E allora come si spiegano il loro rendimento insufficiente, la loro modestia tecnica, gli errori elementari, l’inconcludenza?
All’inizio si era data la colpa a Mimmo Di Carlo e al suo staff. L’allenatore aveva indubbiamente le sue grosse responsabilità a cominciare dalla scelta di un modulo-base che non poteva funzionare per la mancanza in rosa degli uomini adatti a realizzarlo. In certi momenti il tecnico sembrava anche un po’ in confusione nell’ostinarsi a praticare un turn over sistematico, nella scelta dei cambi e nel proporre una squadra non ben preparata atleticamente.
Cambiato l’uomo in panchina, le cose però non sono migliorate. Anche se le scelte tecniche di Brocchi sono sembrate più mirate e concrete rispetto a quelle di Mimmo, la qualità non è certo venuta fuori e la condizione nemmeno. Il confronto in campo con gli avversari è spesso mortificante: quelli palleggiano, fanno possesso palla, preparano le azioni mettendo in pratica schemi provati e collaudati, i biancorossi danno sempre l’impressione di improvvisare, non cambiano mai ritmo e viaggiano come accelerati, gli attaccanti raramente interagiscono sia nei movimenti che negli scambi.
Se, dunque, cambiando l’allenatore, i difetti sussistono, diventa inevitabile focalizzare le responsabilità sui giocatori. Le ipotesi che si possono fare sono molte: alcuni sono stati sopravvalutati, altri pagano l’anzianità o la giovinezza, altri hanno limiti tecnici e non si adattano a ruoli che non sono loro congeniali.
C’è, poi, anche un problema di carattere e di personalità, perché servirebbe ben altro atteggiamento in frangenti come questi ma di “leoni” in campo, che tanto vorrebbero vedere i tifosi, non c’è traccia né, tanto meno, di un leader capace di prendere in mano la squadra e di darle carica e tempi.
Questa carenza di agonismo è anche frutto del calciomercato. Se si acquistano tanti giocatori a fine carriera, forse non ci si può aspettare da parte loro che si scannino in campo e lo stesso si può pensare dei tanti in prestito, magari condizionati dalla precarietà della propria permanenza a Vicenza. Il ds Magalini ha anche portato in rosa alcuni calciatori che uscivano da lunghi infortuni e che hanno avuto bisogno quasi di un intero campionato per recuperare e spesso avuto delle ricadute. Un infortunio può essere un handicap non solo fisico ma anche psicologico per un atleta.
È curioso, infine, che per questi giocatori il sostegno del pubblico non sia un fattore influente. Dopo la fine dello sciopero della Curva Sud, il supporto dei tifosi dell’Lr Vicenza è tornato forte e coinvolgente sia al Menti che in trasferta ma non è riuscito a migliorare le prestazioni della squadra. Strano, perché tutti i calciatori che arrivano a Vicenza non mancano mai di menzionare il “dodicesimo uomo” fra i fattori che li hanno indotti ad accettare l’ingaggio nel Lane. Viene, quindi, da chiedersi se le loro univoche dichiarazioni siano solo una captatio benevolentiae nei confronti della tifoseria oppure se il tifo sfegatato dei supporter vicentini non sia (o non sia più) quell’additivo che, un po’ autoreferenzialmente, gli stessi tifosi ritengono di dare ai propri beniamini.