Partecipazione multireligiosa alla XIX Giornata Europea della Cultura Ebraica a Vicenza

397

E tanto difficile scrivere un articolo quando si è l’organizzatrice dell’evento, la XIX Giornata Europea della Cultura Ebraica a Vicenza al Cimitero acattolico. Soddisfatta? A metà, ho contato una cinquantina di presenze fisse e una ventina di rotanti. Ne volevo almeno cento come primo evento, ma sono consapevole che per venti tombe rimaste può essere considerato un successo. Sarà per la prossima volta, del resto ho deciso di organizzare il tutto ai primi di ottobre, a modo mio, con la libertà di cui sono abituata a disporre e non è stato facile. 

Alcuni presenti alla XIX Giornata della Cultura Ebraica a VicenzaSu una cosa non ho fallito: sono riuscita a mettere assieme religione ebraica di orientamento ortodosso e riformista americano (la comunità dove io sto per apertura mentale meglio, ma se devo esprimere un giudizio di puro cuore, preferisco quella ebraica libica che mi ha insegnato i veri valori dell’ebraismo), cattolica, islamica. Mi spiace che sia mancato Cris Veglione con la sua Chiesa Evangelica, ma erano impegnati a Tezze sul Brenta. Con una piacevole sorpresa ha bilanciato Don Gino Alberto Faccioli, direttore ISSR di Monte Berico che apprezzo perché arrivato spontaneamente e senza invito e queste sono le cose che si fanno con l’anima e sono le più belle!
Franco Perlasca alla XIX Giornata della Cultura Ebraica a VicenzaEnrico Richetti come sempre molto bravo nella spiegazione degli elementi religiosi del Cimitero, Roberto Israel dell’Associazione Figli della Shoà ha portato anche i saluti della Presidente Nazionale, Sen. Liliana Segre, Angelo Harkatz Kaufman egregio nella sua lettura dei canti ebraici (del resto è un tenore lirico) e non sono mancate le preghiere del Monaco Ecumenico Umberto Corà e di Don Alberto Faccioli. Un modo allargato, di concepire la Giornata Europea della Cultura Ebraica che non deve essere solo un festeggiamento, ma deve portare a una riflessione più profonda, perché, finita la festa, il ricordo svanisce, ma, se si lascia un’impronta più intensa, esso ci accompagna nel lungo percorso.
Vorrei chiarire una peculiarità su questo cimitero e su altri piccoli cimiteri ebraici: gli elementi decorativi non sono ammessi (nemmeno oggi) nella religione ebraica e nemmeno le sepolture di non ebrei, eppure qualcuno si è portato la moglie non ebrea e si è fatto una bella lapide decorata. Non è poi così strano, fino all’entrata in vigore della Legge Falco ogni comunità aveva un proprio statuto e quindi ogni comunità poteva agire liberamente.

Uno scorcio dei presenti alla XIX Giornata della Cultura Ebraica a VicenzaNon fu apprezzato da tutte le comunità, l’essere conglobate sotto un’unica egida UCII, Unione Comunità Israelitiche Italiane (ora UCEI Unione Comunità Ebraiche Italiane). Non è stata una legge fascista, com’è dichiarata spesso, ma una legge voluta dalla classe dirigente ebraica, curata dal giurista Mario Falco, classe dirigente che si sentiva minacciata, tra le tante cose, dall’indisciplina e dalla voglia di libertà di molte piccole comunità!

Dice Franco Perlascabella iniziativa nell’ambito della giornata della cultura ebraica a Vicenza, al cimitero acattolico. A interrogarci, a ottanta anni dalle leggi razziali italiane del 1938, sull’indifferenza che vi fu anche in Italia allora e che portò, dopo l’8 di settembre del 1943, alla persecuzione e sterminio di molti nostri connazionali di religione ebraica. Un’indifferenza estremamente pericolosa che toccò tutta la nostra società, salvo qualche limitata espressione di dissenso. I Giusti, con il loro agire invece hanno riscattato quell’indifferenza diffusa che diventava complicità, hanno acceso delle fiammelle che hanno ridato la speranza e la fiducia nel genere umano. Ricordare il loro esempio accanto al male assoluto dell’epoca è necessario in quanto dimostra che qualsiasi di noi, se vuole, qualcosa può fare per opporsi al male“.
Mentre l’imam Yahya Abd al-Ahad Zanolo, responsabile della COREIS per il Veneto, Comunità Religiosa Islamica, ha detto: “Essere qui insieme, ci ricorda come di fronte a Dio tutte le religioni abbiano uguale dignità. Noi oggi testimoniamo la normalità della fratellanza tra ebrei, cristiani e musulmani, ben più reale e solida di ogni paura che è data solo dall’ignoranza“.
Io invece dico che ci sarebbe da rimettere tutto a posto, come da anni si dice. Metto volentieri le mie ricerche a disposizione di qualche studente (architettura e storia), dotato di passione e onestà intellettuale sotto l’egida di questa amministrazione comunale (nel passato ho già messo a disposizione di uno studente i miei studi sull’internamento e deportazione ma non ha avuto un comportamento molto corretto nei miei confronti e nei confronti della privacy altrui). Il libro con l’elenco dei sepolti è sparito prima dell’entrata dell’ultimo custode e ora c’è la vedova, credo venti o trent’anni fa, ma sono stata previdente e l’ho copiato conforme all’originale, inclusi i nomi dei sepolti in via transitoria. Accolgo volentieri persone appassionate di questa materia, ci sono tasselli che non quadrano, ma ben lungi da me baroni, baronesse della cultura e i loro alter ego. L’impegno deve essere quello per restituire alla Città un bene comune e non finalizzato alla creazione di posti di lavoro o di affermazione personale. Se si fa squadra e si è coesi si possono raggiungere buoni risultati. Insomma, cerco eredi possibilmente più giovani di me.
Ringrazio Alfonso, Gina, Simha e Liliana Nahum per le kippot donate in memoria della loro mamma Tikva’ Bat Maza’l e cucite a tempo di record da un artigiano ebreo milanese (nella foto alcune appese), l’Amministrazione Comunale, Franco Perlasca, Roberto Israel, Angelo Harkatz Kaufamm, Umberto Corà, Don Alberto Faccioli, l’imam Yahya Abd al-Ahad Zanolo, Enrico Richetti, tutti i partecipanti alla Giornata e tutti quelli che in un modo o nell’altro mi hanno dato una mano per riuscire a organizzare questa Giornata.

Dovevo intervenire ma ho lasciato spazio agli altri, la cerimonia è durata due ore. Confesso non ho fatto una gran fatica, non amo molto parlare in pubblico, lo faccio già osì tanto nel mio privato che il mattino, quando mi alzo sono già stanca.

Articolo precedenteArzignano C5, al palaTezze arriva la Lazio
Articolo successivoIl j’accuse: quando diventano bavaglio le azioni legali contro i cronisti. Il caso di Giovanni Coviello
Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.