Pd, nuova guerra per bande: la mappa del FQ sulla “geografia interna”

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Pd, Renzi e Zingaretti
Pd, Renzi e Zingaretti

La crisi non è nemmeno formalizzata e nel Pd è già ripartita (ma s’era mai interrotta?) la guerra per bande in vista di un prossimo esecutivo. Ecco allora una breve mappa della geografia interna per consentire al lettore di seguire le evoluzioni pidine dei prossimi giorni e/o interpretare correttamente boutade come “in caso di governo coi 5Stelle Renzi dovrebbe impegnarsi direttamente col coinvolgimento di personalità a lui vicine come Maria Elena Boschi” (Francesco Boccia, deputato dell’area Zingaretti).

RENZI. Partiamo dal signore di Rignano sull’Arno e dai suoi fedeli perché, Beppe Grillo a parte, è l’uomo che più ha smosso una situazione che sembrava avviata verso il voto. Perché l’ha fatto? Come ha raccontato in giro lui stesso, è stato colto di sorpresa dalla crisi: tra settembre e ottobre, con tanto di Leopolda già convocata, era pronto a farsi il suo partito e i suoi gruppi parlamentari (renziani più profughi di Forza Italia) nell’ipotesi di votare nel 2020 o più in là. Con le urne a ottobre, però, non sarebbe pronto a presentare una nuova lista e il segretario del Pd Zingaretti decimerebbe gli eletti renziani (che oggi sono un bel pezzo dei gruppi parlamentari dem): non andare a votare, insomma, è questione di vita o di morte politica. Per questo l’ex premier – che nel 2018 aveva dato vita alla campagna #senzadime contro l’intesa coi grillini “cialtroni” – oggi fa una delle più incredibili conversioni a U che si ricordino lanciando il governo “istituzionale”, cioè del Pd coi 5 Stelle. Per lo stesso istinto di conservazione, Renzi può accettare quasi la qualunque: da ultimo ha pure offerto a Luigi Di Maio di restare al governo con una posizione di peso. Tutti sanno, però, che in autunno – se il colpo gli riesce – si farà comunque i suoi gruppi avendo il potere di ricattare il nuovo governo e, soprattutto, di farlo cadere quando si sentirà pronto ad andare a votare (meglio se col proporzionale puro, a quel punto).

ZINGARETTI. Il nuovo segretario controlla il partito, ma non il gruppo dirigente, né i parlamentari. Di suo, il governatore del Lazio preferirebbe votare subito e lo aveva pure garantito a Salvini: “Non darò sponde ai 5 Stelle”. Avrebbe perso, ma poteva comunque “bonificare” le Camere dai renziani ricostruendo il partito anche coi fuoriusciti alla Bersani. Purtroppo per lui Renzi, ma anche molti altri dirigenti, pure della sua maggioranza congressuale (Franceschini), si sono subito buttati avanti aprendo al governo coi grillini. Per non perdere il partito, alla fine s’è inventato il “lodo Bettini” (nel senso di Goffredo): no al governo istituzionale a tempo, sì a quello politico e di legislatura. Per ora Zingaretti – che Grillo ha indicato come interlocutore unico per il M5S – ha bloccato tutte le trattative, in attesa che Conte si dimetta. Dopo, dicono i suoi, la sua proposta ai grillini sarà “onerosissima”: via il premier, via Di Maio e molti ministri, via pure qualche legge appena approvata tipo il decreto Sicurezza bis. In teoria sembra un modo per farsi dire di no, ma il timore di Zingaretti è che – anche con la spinta del Colle – gli dicano di sì. Dal timore passa al terrore se pensa che, dopo essersi assunto la figuraccia di fare l’accordo con gli ex nemici, Renzi faccia cadere il governo entro pochi mesi: per questo ora, dalle sue parti, candidano Boschi a un ministero, per “legare” il fiorentino.

FRANCESCHINI. Teoricamente appoggiava Zingaretti, ma come al solito quando ha visto uno spazio di manovra ci si è infilato: l’uomo non ha molti voti, ma ha avuto molte poltrone e spera in altre. Negli ultimi giorni è stato accreditato sia come ministro dell’I nter no che come presidente della Camera nel caso Fico, il grillino di sinistra, fosse chiamato ad incarichi “operativi”. In questa fase tutti guardano a lui perché lo credono – forse a torto – in contatto con Mattarella.

DELRIO & C. Era renziano, ma non lo è più. Al Congresso ha sostenuto l’altro ex renziano Martina: anche quest’area del Pd teme le urne come Superman la kryptonite. Per questo il capogruppo dei deputati si è esposto con forza per un accordo “sul modello tedesco” mandando Zingaretti fuori dalla grazia di dio.

Boschi ministro? È una boutade per far capire ai rignanesi che, nel caso, devono legarsi al patto coi 5S

PRODI, LETTA & C. Più che manovre di partito, fanno manovre di continente e ora vedono l’occasione per l’ennesimo ircocervo di rigida osservanza “europeista” (Ursula), un esecutivo che garantisca il rispetto degli impegni con Bruxelles a tutti i costi. Anche se non hanno “truppe”, conservano una qualche presa nell’elettorato democratico e, se va bene, a inizio 2022 si elegge il successore di Sergio Mattarella…

di Marco Palombi da Il Fatto Quotidiano