Pedemontana Veneta, Il Fatto: è rissa tra Lega e M5S. Per Jacopo Berti (M5S) “il margine è del 66%, più di Autostrade”, per Matteo Salvini “quello veneto è un modello”

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Non solo Genova. Non solo quel maledetto ponte, con il carico di interessi e cattivi pensieri attorno alla sua ricostruzione. A incrinare il rapporto tra Lega e Cinque Stelle, dilatando la distanza su un punto già critico come quello delle infrastrutture, ecco il tratto veneto della Pedemontana: cento chilometri di autostrada che per il Carroccio (quasi) partito unico nella regione, sono un totem. Ma contro cui il M5S locale protesta a tutta forza, con il silenzio-assenso del Movimento nazionale, gridando al “regalo” del governatore leghista Luca Zaia al consorzio privato Sis (il costruttore piemontese Dogliani e gli spagnoli Sacyr, azienda della compagnia petrolifera Repsol).

Se vi hanno fatto schifo i guadagni esorbitanti di Autostrade Spa non avete visto nulla, ai privati regalano un margine operativo di 8 miliardi, superiore perfino a quello di Autostrade per l’Italia“, scrive su Facebook il capogruppo regionale dei 5 Stelle, Jacopo Berti: proprio nel giorno in cui Matteo Salvini appare a Venezia per firmare il protocollo di legalità sui lavori con Luca Zaia.

Strette di mano e sorrisi, che stridono con il Berti che invoca una revisione profonda dell’opera, “perché va fatta, visto che il Veneto ne ha bisogno, ma non certo così“. E sarebbe un’ulteriore modifica, “perché il contratto l’hanno già modificato tre volte, sempre più a favore per il concessionario privato“. Insomma, il Movimento locale fa muro: con la copertura di Roma, assicura Berti al Fatto, “perché ho sentito esponenti di governo del Movimento e mi hanno detto di andare avanti“.

E così spara ad alzo zero, contro un’opera che anche al M5S nazionale non piace per nulla. Anche se ricordarlo dritto ora aprirebbe un’altra crepa pubblica con Salvini, in una fase già delicatissima. E allora l’unica cosa che filtra da una fonte di peso è una formula di rito: “Come tutte le grandi opere, anche la Pedemontana verrà sottoposta all’analisi dei costi e dei benefici“. Sillabe gelide per rammentare che anche l’autostrada veneta non è da considerarsi un progetto chiuso.

La Lega, però, non intende mollare nulla sull’opera, il cui completamento è previsto nel 2020. E Salvini ieri lo ha ribadito con parole e presenza, giocando anche (indirettamente) di paragone con il caso di Genova: “Credo che un modello di compartecipazione pubblico-privato come quello veneto possa essere un modello anche a livello nazionale“. Tradotto: il Carroccio insiste per far ricostruire il ponte Morandi (anche) ad Autostrade. Contrariamente alla linea del Movimento e del suo capo politico Luigi Di Maio, che dalla società dei Benetton vuole solo soldi, e tanti. Ma di denaro, tantissimo, potrebbe prenderne anche il consorzio che sta realizzando la Pedemontana. Perché il margine operativo di 8 miliardi è pari al 66 per cento di quanto incasserà coi pedaggi: vale a dire che ogni 100 euro pagati al casello dagli utenti, la gestione al concessionario ne costerà solo 34. Un margine superiore a quello di Autostrade per l’Italia, pari al 62 per cento come calcolato dal Fatto.

E da qui si torna a Berti e al suo dito puntato contro Zaia: “L’autostrada in costruzione è il più grande regalo ai costruttori che l’Italia abbia mai visto. Costerà dieci volte più del previsto, e i cittadini dovranno pagare 13 miliardi tra tasse e tariffe, per un’autostrada che ne costa 2,5“.

Però il governatore veneto è un protagonista di quella Lega che a Roma governa con il Movimento. Così viene naturale chiedere a Berti quanto sia siderale la distanza tra 5 Stelle e Lega sulle grandi opere, già motivo di mal di pancia durante la stesura del contratto di governo. E il capogruppo del M5S replica così: “Io ero alla conferenza stampa di Salvini e Zaia, e ho sentito dire al ministro dell’Interno che il governo vuole tagliare le unghie a tutti i concessionari privati e ai loro enormi profitti. E allora faccia quanto predica, spiegando al suo governatore fuori controllo che il contratto per la Pedemontana va modificato, sia dal punto di vista dei costi che da quello ambientale“.

Perché il cantiere, sostiene il Movimento, passa per una discarica abusiva. “Una falsità, carte alla mano” hanno sempre replicato Regione e i costruttori. Ma Berti insiste: “Loro parlano di discarica già segnalata, ma l’area è molto più ampia ed è colma di rifiuti. È venuta anche Report a filmare tutto“. E allora, che si fa? “Andrò avanti chiedendo di cambiare la concessione. Non mollerò mai, come non ho mai mollato in questi anni. E nel M5S lo sanno“.

Ma la partita sulla Pedemontana è impervia per i 5 Stelle. E da Roma lo ammettono: “Salvini non pare volersi stracciare le vesti sul Tav, che per noi resta un problema. Ma in cambio potrebbe pretendere di non sfiorare le altre opere“. Pedemontana in primis. Nonostante Genova.

di Luca De Carolis, da Il Fatto Quotidiano

 

Ecco a voi la “superstrada modello”, ma di quel che non si dovrebbe fare 

Nata nel 2002 per realizzare un’autostrada a pedaggio di circa 94 chilometri da Montecchio Maggiore (Vicenza) a Spresiano (Treviso), Pedemontana veneta Spa è l’esempio di come le opere pubbliche non dovrebbero essere fatte. Inizialmente stimati in 1,8 miliardi, i costi sono lievitati, per ora, a oltre 3 miliardi (31 milioni a km), senza che sia stato steso nemmeno un chilometro d’asfalto di quella che nel frattempo è diventata una superstrada.

E l’idea iniziale di realizzare l’opera in project financing (sistema che fa molto modernità finanziaria, ma che in Italia non ha mai funzionato), cioè finanziata da enti che poi si ripagano grazie ai proventi del casello, si è trasformata in un ircocervo che drena risorse dei contribuenti, è criticato dalla Corte dei Conti ed è controllata da un commissario.

Per ora i soldi ce li ha messi solo la Regione: 245 milioni; nessun privato ha voluto scucire alcunché, nonostante la promessa di pedaggi assai alti. Il tracciato fin dall’inizio ha suscitato dubbi e critiche. Ma è tutta le gestione, a cominciare dagli aspetti finanziari mai risolti, che fa acqua.

Al principio l’azionariato del concessionario era misto pubblico-privato: l’autostrada Serenissima (nel cui capitale era presente il costruttore Mantovani, e la Argo finanziaria del gruppo Gavio), Autostrade per l’Italia (Aspi) dei Benetton, le Autovie Venete e gli istituti locali Antonveneta, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno.

In Italia la consuetudine è che le proposte di opere pubbliche non le facciano lo Stato o le Regioni in base alle esigenze di mobilità, ma banche, costruttori e concessionari.

Nel 2004 la Regione Veneto dichiara l’opera di interesse pubblico e concede un primo contributo di 243milioni di euro a Spv (Superstrada pedemontana veneta, il nuovo nome della società), più un contributo annuale variabile per 30 anni modulato in base ai flussi di traffico. Insomma un meccanismo che mette il concessionario al riparo da ogni rischio di scarso traffico, e che incentiva le opere inutili. La società concessionaria passa nel giro di pochi anni dal controllo misto a quello privato, quello del consorzio Cps, che comprende costruttori come Impregilo e Adria infrastrutture.

Per continuare a finanziare la strada la Regione Veneto cerca di introdurre un’addizionale Irpef “temporanea”. Il motivo? L’aumento dei costi, frutto di previsioni di spese sottostimate e di traffico sovrastimato. Alla Cps subentra il gruppo ispano-italiano Sis (Sacyr e la famiglia piemontese Dogliani) che nel 2009 si impegnano a costruire la superstrada con i propri soldi (600 milioni), in cambio di una lunga concessione. L’affare però, ancora una volta, non decolla. Nel 2016 a seguire l’opera andata fuori controllo viene infine mandato un commissario, Silvano Vernizzi, che diventa di fatto il nuovo regolatore pubblico. A fine 2017 per provare a dare slancio all’opera ancora impantanata e coprire i costi nel frattempo lievitati, si lancia l’idea di un bond da 1,2 miliardi. Ma nessuno lo sottoscrive. Il 5 giugno scorso infine viene firmata la terza convenzione fra Regione e Sis. Remunerazione altissima (vedere articolo sopra) e un esborso della Regione fissato a 29 milioni di euro l’anno più Iva per quindici anni (532 milioni totali).

Il risultato è che il governatore Zaia garantisce i guadagni alla concessionaria mentre Regione e Stato si accollano il rischio dell’opera, come se fosse realizzata con un appalto tradizionale.

A evidenziare le molte anomalie è stata tra l’altro, nel marzo scorso, la Corte dei Conti. La critica riguarda le stime di traffico, un accordo finanziario arrivato fuori tempo massimo e il costo riversato in futuro sul contribuente veneto. È evidente che, al netto di ogni considerazione ambientale, il progetto non aveva molte basi di fattibilità economica e il committente ha voluto fin dall’inizio sgravare la società concessionaria dal rischio imprenditoriale, accollandolo tutto alla mano pubblica, il cui l’ultimo intervento è il nuovo prestito da 300 milioni, nel maggio scorso, da parte della Cassa Depositi e Prestiti.

Come era stata pensata, la Pedemontana veneta non sembra servire più, visto che è stato ammesso che dai 33mila veicoli giornalieri previsti si passerà (forse) a 18mila. Così, anziché studiare una via d’uscita, ad esempio una riduzione della lunghezza della tratta e la riduzione delle carreggiate, con minor consumo di suolo e minori costi, si vuole proseguire su una strada fallimentare. Con l’entusiasta supporto di Luca Zaia e Matteo Salvini.

di Dario Balotta, da Il Fatto Quotidiano