Le avventure dei pazziperiviaggi in giro per la nostra Italia sono arrivate alla punta estrema della nostra penisola, quella più a sud dell’Italia continentale s’intende. Siamo a Punta Melito nel comune di Melito di Porto Salvo in Calabria, un insediamento di poco più di 10.000 abitanti nella città metropolitana di Reggio Calabria, di cui fa parte anche la frazione di Pentidattilo, una perla incantevole incastonata sulla rupe del Monte Calvario a 250 metri s.l.m. che, nella sua stilizzazione orografica, ricorda vagamente una mano con cinque dita (penta= cinque, dattilo=dita).
La storia di queste zone della Calabria è legata alle colonie della Magna Grecia, infatti insieme alla Grecìa Salentina, in molti paesi della provincia di Reggio Calabria e della Locride, tra cui Melito di Porto Salvo e Pentidattilo, persiste un dialetto greco, chiamato anche grecanico, parlato ancora da pochi anziani che hanno deciso di mantenere salde le tradizioni. L’origine della presenza di una lingua parlata legata alla Grecia è, tuttavia, incerta: se è vero che il legame con la Magna Grecia è inconfutabile, è anche vero che la presenza massiccia e duratura dell’Impero bizantino a partire VI-VII secolo, come testimonia anche l’edificazione della Cattolica di Stilo, abbia potuto influenzare maggiormente il parlato locale.
Interessante è anche la storia della limitrofa Roghudi, un antico insediamento, oggi abbandonato, che risalirebbe, stando alla radice orientale del nome, addirittura al III millennio a.C. Suggestiva, infatti, è l’idea che il toponimo Roghudi derivi dall’aramaico Ruah (respiro, soffio, temine centrale dell’antropologia ebraica) a causa dei forti venti che spazzano il sito posto alle pendici dell’Aspromonte. Molto più probabile, invece, è che il nome derivi dal grecanico rhogodes, che indica un luogo impervio caratterizzato da crepacci.
Ad ogni modo, è curioso che, per non perdere completamente il legame con il passato, rimanga ancora oggi in voga, anche su wikipedia.org del resto, il nome grecanico dell’insediamento di Melito, Μελιτος (Melitos traslitterato), così come permane di fatto anche il nome greco della sua frazione di Pentidattilo, Πενταδάττυλο (Pentadàttilo traslitterato), e di Roghudi, Ρηχούδι (Richùdi traslitterato), sebbene nella zona, in realtà, sia sempre più raro incontrare persone che possano parlare il grecanico e, con molta probabilità, saranno sempre meno, considerata la forte emigrazione.
Prima di tuffarsi nell’entroterra reggino ai piedi dell’Aspromonte per visitare Pentidattilo, vale la pena rinfrescarsi nelle fresche acque di Punta Melito, facendo attenzione alle intense correnti che caratterizzano il Mar Ionio mentre si infratta nello Stretto di Messina. Del resto, anche un bagno nelle acque di Punta Melito non è un semplice bagno, ma un tuffo nella storia del nostro Paese, infatti occorre ricordare che proprio sulla spiaggia di Rumbolo, situata nel comune di Melito, il 19 agosto 1860 approdò la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi, il quale, dopo aver occupato la Sicilia con l’aiuto dei contadini, poi colpevolmente traditi, giunse sulla terraferma con i piroscafi Torino (adagiato sul fondale delle spiagge di Punta Melito) e Franklin per strappare le terre peninsulari alla dominazione borbonica. Sappiamo che la spedizione di Garibaldi andò, tutto sommato, a buon fine e che a Teano il 26 ottobre del 1860 l’eroe dei due mondi consegnò la penisola nelle mani del re di Sardegna Vittorio Emanuele II. Restavano fuori dal dominio savoiardo della penisola italiana lo Stato Pontificio e il Lombardo-Veneto e fu proprio per affrontare la questione romana che Garibaldi, dopo due anni di esilio nella sua Caprera, il 25 agosto 1862 decise di intraprendere una nuova spedizione, nonostante l’ostilità del governo italiano, che giunse nuovamente sulle sponde note di Punta Melito. Purtroppo la spedizione si arenò già sull’Aspromonte, dove Garibaldi venne colpito dai bersaglieri nell’intento di far cessare il fuoco e poi arrestato. A memoria dell’impresa fallimentare rimane il famigerato ritornello popolare: «Garibaldi fu ferito, fu ferito in una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i bersaglier».
Dopo questo tuffo nella storia più recente dell’Unità d’Italia, non bisogna lasciarsi assolutamente sfuggire una visita al borgo abbandonato di Pentidattilo, un paese fantasma recuperato a partire dagli anni ’80 grazie al lavoro lungimirante di qualche artigiano e delle associazioni locali. Il vecchio paese, costruito nella roccia, ha attraversato quasi indenne le dominazioni greche, romane, bizantine, normanne, saracene, nonché le varie baronie locali in nome dei dominatori borbonici, tuttavia fu un terremoto nel 1783 a fiaccarlo e distruggerlo parzialmente, al punto che cominciò una lenta migrazione verso i paesi costieri. La migrazione proseguì inesorabilmente, anche verso la Francia, la Svizzera e la Germania, fino a quando negli ’60 del secolo scorso il borgo fu completamente abbandonato all’incuria del tempo.
Oggi il borgo si presenta abbastanza curato, grazie anche all’accoglienza di Giorgio, un fantastico cantastorie che dalla bottega artigianale di sua moglie ammalia i visitatori e li introduce alle bellezze e ai misteri di questo paese infestato, stando ai suoi efficaci racconti, da gelosi fantasmi. In realtà la storia di Pentidattilo è anche legata ad un episodio di cronaca nera: un efferato omicidio venne infatti consumato nel castello del paese, i cui resti sono raggiungibili tramite un sentiero, nel 1686, raccontato nel romanzo La tragedia di Pentidattilo[1]. Per ottenere la mano della giovane Antonietta Alberti, della famiglia di Pentidattilo, il vicino signore rivale di Montebello Ionico, Bernardino Abenavoli, trucidò gran parte degli Alberti nel loro castello, alimentando tutt’oggi truci e suggestive leggende su fantasmi che si aggirano nel borgo e su lamenti che si sollevano durante le frequenti folate di vento che si alzano improvvisamente.
La soddisfazione di aver scoperto in Calabria un posto affascinante ed unico nel suo genere è enorme, ma bisogna alzare subito il passo perché il vento comincia a soffiare e i bambini iniziano a temere l’arrivo dei fantasmi!
[1] A. Cantadori, La tragedia di Pentidattilo, Falzea, Reggio Calabria 2004.