Perché i Comuni tornino protagonisti

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Tra qualche giorno in molti comuni della Penisola e dunque anche della nostra diocesi si voterà per scegliere il sindaco e i componenti il consiglio comunale. Il tutto contemporaneamente alle elezioni europee.

Queste hanno sicuramente una grande rilevanza: c’è infatti la consapevolezza, da parte di molti, che la Ue nei prossimi cinque anni si gioca il proprio futuro. Le elezioni amministrative non sono, peraltro, meno importanti, visto che il Comune rappresenta (anche storicamente) uno degli elementi fondamentali del sistema democratico Oltre al fatto che ogni elezione, in quanto esercizio massimo di democrazia, dovrebbe rappresentare un momento di grande significato per ogni cittadino, va evidenziato che pure i Comuni stanno vivendo un momento particolarmente delicato che va seguito con attenzione. È la conferma, se servisse, che il sistema democratico in quanto tale è in una fase di passaggio che merita grande prudenza e cura.

I sedici comuni berici che hanno un solo candidato sindaco sono un indicatore quanto mai eloquente del momento difficile che l’ente più vicino al cittadino sta attraversando.

All’inizio degli anni ’90, sull’onda della riforma degli enti locali e dell’introduzione dell’elezione diretta del sindaco, ci fu una stagione di grande fermento attorno ai municipi. I Comuni diventarono il luogo primo dove esercitare la partecipazione politica e anche da dove partire per provare a riformare un Paese che si trovava stremato dopo la deflagrazione di Tangentopoli.

Oggi a distanza di quasi trent’anni le Amministrazioni comunali mostrano il fiato corto. Le ragioni sono diverse e chiamano in causa in parte la politica nazionale e in parte la stessa progettualità degli enti locali. Dopo la grande attenzione dei primi anni ’90 per i Comuni, la politica nazionale si è a poco a poco concentrata su altro e anzi ha individuato in questi enti istituzionali il soggetto dove scaricare una serie di tensioni che crescevano nel Paese. L’affaticamento che oggi vivono i Comuni, deriva, infatti, anche da un’azione di svuotamento da parte dei partiti nazionali della possibilità partecipativa espressa dai Comuni. All’ordine del giorno della politica nazionale arrivò il tema del taglio dei costi della politica. Da dove sì partì? Dai Comuni ovviamente, tagliando il numero dei consiglieri comunali, degli assessori e le relative indennità e gettoni (che sono di un importo quasi imbarazzante per l’esiguità!). La promessa di metter mano anche alle istituzioni dove c’erano i veri costi della politica è rimasta una promessa (si veda il numero dei parlamentari). C’era poi da tagliare sulla spesa pubblica: la mannaia dei governi di centro, di destra, di sinistra, sovranisti o europeisti è caduta prima di tutto e sempre sui Comuni, molti dei quali si sono trovati davvero in diffi coltà. Tutto questo si è combinato con una mutata situazione economico – finanziaria che si segnala per una minore disponibilità di risorse.

I nuovi eletti si troveranno, dunque, ad affrontare sfide che richiedono risposte nuove e coraggiose. In questa direzione va anche la possibilità per i Comuni, riconosciuta e incentivata dalla legge, di fondersi, dando vita a un nuovo ente locale più grande. È una possibilità che dovrebbe essere presa seriamente in considerazione e che richiede un grande sforzo di coinvolgimento della cittadinanza.

C’è inoltre da augurarsi che gli amministratori locali, proprio perché presidio della democrazia, sappiano essere fautori di una nuova stagione di riforme nel Paese che consenta anche ai Comuni di veder riconosciuto un ruolo e un’importanza eccessivamente frustrate in questi ultimi anni. È questo un contributo che può essere essenziale per un Paese che ha bisogno di ritrovare fiducia in sé stesso.