“Dalla Regione nessuna risposta agli agricoltori né ai consumatori. La questione Pfas e la contaminazione degli alimenti non sono un tema semplice, ma la Regione ha scelto di non dare risposte né agli agricoltori né ai consumatori. Ha completamente abbandonato il settore e i cittadini a loro stessi, svalorizzando l’impegno di chi non si limitava a chiedere chiarezza, ma condivideva proposte”. A dirlo è la consigliera regionale della Lista AMP Cristina Guarda che critica l’atteggiamento della Giunta Zaia.
“Le prime analisi del 2016 erano sbagliate, quelle ripetute con l’Istituto superiore di sanità sono state rese pubbliche dalla Regione, in una versione parziale, con una conferenza stampa solo a dicembre 2017. Da allora la Giunta regionale è immobile. Già nel dicembre 2017 ribadivamo come i valori utilizzati per identificare la pericolosità della contaminazione degli alimenti fossero più che superati: finalmente anche la Regione lo riconosce. Ma perché dobbiamo sempre intervenire in ritardo, quando abbiamo opportunità e conoscenza per farlo in tempo?”.
“Lo stesso discorso – prosegue Guarda – vale per l’irrigazione: la Regione non se ne è mai concretamente occupata, anche se ci sono progetti già pronti per estendere la fornitura d’acqua non contaminata nella rete irrigua oggi in zona rossa ‘agricola’. Attualmente solo il piano irriguo nazionale ha dato una prima risposta finanziaria al nostro problema, stanziando fondi nazionali per area della bassa padovano ma soprattutto per il Leb, il Consorzio che garantirà la risorsa idrica dall’Adige. E il Vicentino? Progetti per portare più a nord l’acqua ce ne sono e da parecchio tempo, ma la disorganizzazione regionale, con l’assenza di uno specifico piano irriguo veneto rende molto difficile la definizione delle priorità e il passaggio ai fatti”.
“Purtroppo anche sul fronte dei danni economici c’è assoluto immobilismo: mentre il ministro Costa fa la somma tra i soldi destinati dal governo Gentiloni e quelli aggiunti da quello di Conte, in Consiglio regionale abbiamo più volte richiesto di conoscere le spese sostenute ad oggi dalla sanità, per la presa in carico dei cittadini, dai gestori dell’acqua, per filtri e nuovi allacciamenti privati, e altre spese che dovrebbe portare come conto davanti la giustizia. Adesso il Governo si prepara a chiedere il conto. E la Regione Veneto? Prima scaricava le colpe sull’esecutivo Pd, ma ora non ha nemmeno questo alibi, visto che ‘comanda la Lega’. E così a noi residenti non resta che fare i conti con l’incapacità della Giunta di governare e, a quanto pare, con la ricerca di nuovi capri espiatori”.
“I Pfas fanno male perché costituiscono un fattore di rischio ulteriore nello sviluppo di una serie di malattie” è questa la conferma che arriva dal responsabile del settore prevenzione della Regione Veneto Dott.sa Francesca Russo nel corso di un convegno promosso dall’ordine dei giornalisti a Vicenza il 23 gennaio scorso. Nello stesso incontro la Dott.ssa Russo ricorda anche come i residenti nelle zone rurali della zona rossa, che si sono sottoposti al piano di sorveglianza promosso dalla Regione, si ritrovino con percentuali di pfas nel sangue pari al doppio rispetto ai residenti nelle aree non rurali della stessa zona rossa.
“Questa è una conferma tanto importante quanto inquietante delle criticità che Legambiente con il Coordinamento Acqua Libera da Pfas solleva inascoltata da anni dalle istituzioni – dichiara Piergiorgio Boscagin di Legambiente Veneto e portavoce del Coordinamento acqua libera dai pfas – ed è ora il momento che la Regione affronti con coraggio il problema della contaminazione alimentare da PFAS e si impegni a fermare l’uso in agricoltura dei fanghi da depurazione contaminati oltre che ad avviare un censimento obbligatorio dei pozzi privati”.
Legambiente e il Coordinamento hanno infatti già segnalato a più riprese alla Regione ed a tutti gli organi coinvolti, come nelle zone rurali a fronte di una grande quantità di captazioni autonome non ancora censite (pozzi privati) e di conseguenza mai sottoposte ad analisi per verificare l’eventuale presenza dei pfas nelle acque emunte, non si sia mai avviato un censimento dell’esistente. Inoltre a questo si aggiunge il probabile dilavamento dei PFAS presenti nei terreni agricoli in seguito ad apporti agronomici che potrebbero determinare di per sé una locale contaminazione delle colture. Una possibile contaminazione puntuale a cui dunque si potrebbe aggiungere la possibilità che l’irrigazione con acqua contaminata contribuisca alla contaminazione ulteriore delle matrici alimentari, che una volta consumate aumentano l’accumulo nell’organismo umano.
Risulta per questo evidente come le criticità per il comparto agricolo ed alimentare siano molteplici , rendendo la presenza di pfas o meno nel sangue delle persone non più limitabile al solo consumo diretto di acqua contaminata da perfluoroalchilici. Un problema vero e da affrontare con urgenza, che Regione Veneto e associazioni di categoria non possono più tentare di nascondere sotto il tappeto, al di là delle responsabilità giudiziarie e delle valutazioni sulla quantificazione del danno ambientale da parte del Ministero e che alla luce di queste problematiche appare oggi sottostimato.
“Ad oggi – continua Boscagin – seppur richiesto esplicitamente alla Commissione regionale di inchiesta sui pfas, oltre a non sapere dove sono e quanti sono i pozzi privati inquinati, non sappiamo neppure se siano state intercettate situazioni agronomiche in cui si sia fatto uso di fanghi di depurazione e ammendanti compostati da fanghi, ritenuti dalla letteratura scientifica i principali apportatori di contaminazione al terreno agricolo per quanto riguarda i composti per- e poli fluorurati a più elevato bioaccumulo. Eppure l’utilizzo dei fanghi di depurazione quale ammendante agricolo è pratica più che verosimile ed è noto è come negli anni lo smaltimento diretto dei fanghi da impianti di depurazione in agricoltura abbia interessato superfici agricole anche nelle province interessate dalla problematica PFAS (Vicenza, Verona, e Padova)”.
A fronte dunque di tale presa d’atto del capo della prevenzione della regione Veneto e delle nuove indicazioni che arrivano da EFSA (autorità europea per la sicurezza alimentare) sulla necessità di rivedere al ribasso le stime sui valori limite di assunzione delle sostanze perfluoroalchiliche attraverso gli alimenti, Legambiente con il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas tornano nuovamente a richiedere e a segnalare:
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la necessità di un censimento completo dei pozzi di captazione privata nelle aree contaminate denominate come zona Rossa A e B con l’estensione di tale mappatura alla zona denominata arancio, in particolare per i comuni di Sovizzo , Creazzo, Monteviale e Altavilla Vicentina, territori che hanno subito una contaminazione storica da composti fluorurati delle falde acquifere risalente alla metà degli anni 70.
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l’estensione alla zona Arancio del piano di sorveglianza nei confronti della popolazione, piano attualmente previsto solo per la zona Rossa.
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la rivalutazione delle indagini sulle matrici alimentari e zootecniche, orientandole maggiormente sui fattori di rischio agronomici, alla luce anche delle nuove indicazioni date dall’EFSA.
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un piano straordinario di bonifica e risanamento di tutto il bacino dell’Agno Fratta Gorzone, un territorio che da decenni subisce un pesantissimo impatto inquinante di natura principalmente di tipo conciario chimico e dove l’inquinamento da perfluoroalchilici rappresenta solo la punta dell’iceberg.
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L’adozione da parte della regione Veneto di iniziative presso i ministeri competenti affinchè le nuove indicazioni fornite da EFSA vengano recepite dalle autorita sanitarie nazionali al fine di salvaguardare la salute di tutti i cittadini
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che la regione Veneto si faccia promotrice a livello nazionale ed europeo di iniziative per l’avvio dei processi di “phasing out” del comparto chimico, industriale e conciario in particolare del bacino del Chiampo prevedendo anche la messa al bando della produzione e della commercializzazione delle sostanze perfluoroalchiliche comprese le nuove sostanze a catena corta, visto che per queste ultime non esistono studi attendibili che ne dimostrino la non pericolosità