Pfas, Tar Veneto: “Anche Mitsubishi dovrà bonificare area Miteni”. Greenpeace Italia: “Controlli disomogenei da regione a regione”

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Il Tar del Veneto, con propria sentenza emessa lunedì 27 maggio 2024, ha stabilito che anche Mitsubishi dovrà bonificare dai Pfas l’area ex Miteni di Trissino, nel Vicentino. Anche il colosso giapponese, dopo Ici, dovrà rimediare alla contaminazione: sulla base degli accertamenti effettuati, le istituzioni hanno infatti ritenuto responsabili dell’inquinamento tutte le società che si sono susseguite nel controllo dello stabilimento vicentino.

Mitsubishi aveva costituito nel 1988 la Miteni e ne ha detenuto il capitale sociale a lungo. La Provincia di Vicenza, a maggio del 2019, aveva emesso un provvedimento che indicava la società come colpevole al pari di Ici, già dichiarata responsabile dal Tar a inizio maggio. Si attende inoltre il pronunciamento nei confronti di Eni e Marzotto.

Le sostanze prodotte a Trissino hanno determinato l’inquinamento delle acque sotterranee e dei pozzi di alimentazione degli acquedotti tra le province di Vicenza, Verona e Padova, interessando e avendo conseguenze sulla salute di circa 350 mila persone.

A tal proposito, Greenpeace Italia ha diffuso i dati emersi da una propria nuova inchiesta basata su dati Ispra raccolti tra il 2019 e il 2022, la quale dimostra che la contaminazione da Pfas è presente in tutte le Regioni italiane in cui sono state effettuate le indagini nei corpi idrici (fiumi, laghi e acque sotterranee). “Malgrado l’ampia diffusione di questo inquinamento, nella maggior parte del nostro Paese i controlli sono ancora pochi, frammentari o addirittura assenti, tanto che la reale portata della contaminazione è ancora sconosciuta”.

Secondo quanto riportato nel rapporto di Greenpeace Italia “La contaminazione da PFAS in Italia”, queste sostanze sono state rinvenute in quasi 18 mila campioni, pari al 17% delle analisi effettuate dagli enti preposti tra il 2019 e il 2022.

“I dati relativi alla presenza di Pfas in Italia confermano un’emergenza nazionale diffusa e fuori controllo, che interessa non solo le aree già note per questa contaminazione, ovvero alcune province del Veneto e la zona dell’alessandrino in Piemonte, ma anche numerose altre aree del Paese – afferma Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia -. Si tratta di un quadro grave e per di più incompleto a causa della mancanza di uniformità nei controlli a livello nazionale e dell’inefficacia dei monitoraggi in numerose Regioni”.

Secondo i dati Ispra analizzati da Greenpeace Italia, la percentuale di valori positivi ai Pfas varia da Regione a Regione, anche a seconda dell’accuratezza delle misurazioni effettuate dai diversi enti pubblici. In poche parole, più una Regione fa controlli e utilizza strumenti precisi e all’avanguardia, più è probabile che venga rilevata una positività da Pfas durante i monitoraggi. Basilicata (31%), Veneto (30%) e Liguria (30%) sono le Regioni con la più alta percentuale di analisi positive rispetto ai controlli effettuati tra il 2019 e il 2022. Anche altre sei Regioni (Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Campania) presentano un tasso di positività superiore al 10% nel periodo preso in considerazione.

Nonostante questa diffusa contaminazione, la disomogeneità nei controlli degli enti preposti che è stata ricostruita da Greenpeace Italia è sconcertante: quasi il 70% delle analisi nazionali è stato infatti eseguito in sole quattro Regioni del nord Italia (Veneto e Piemonte, interessate da casi storici e ben documentati, a cui si aggiungono Lombardia e Friuli-Venezia Giulia), mentre il restante 30% è distribuito nelle altre 12 Regioni interessate dalle verifiche, creando una sproporzione in termini numerici e di accuratezza. In quattro Regioni del sud Italia (Puglia, Sardegna, Molise e Calabria), dal 2017 al 2022 non risulta invece alcun controllo sulla presenza di Pfas nei corpi idrici. Oltre ad alcune aree del Veneto e dell’Alessandrino, i dati raccolti evidenziano criticità nel novarese, in Lombardia (province di Como, Lecco, Pavia e Monza Brianza), Lazio (Roma, zona Ponte Galeria e viterbese), Emilia Romagna e Abruzzo.

“La situazione rappresentata dai dati Ispra – conclude Ungherese – è grave e la realtà potrebbe essere anche peggiore perché si tratta di dati parziali. Cosa aspetta il governo Meloni a promuovere un provvedimento che limiti, a livello nazionale, l’uso e la produzione di queste pericolose sostanze, a tutela dell’ambiente e della salute di tutte e tutti noi”?.

Leggi il rapporto “La contaminazione da PFAS in Italia

Recentemente, a Roma si è svolta una conferenza, “Pfas, stop ai veleni“, organizzata da Greenpeace nella sala del Refettorio di Palazzo San Macuto con al tavolo relatori esperti, cittadini, ricercatori e ambientalisti arrivati da varie zone d’Italia.

Come riporta oggi Il Corriere del Veneto, “Tra i tanti interventi c’è stato anche quello di Maria Secco, 21 anni di Lonigo, figlia di una delle mamme No Pfas che da anni lottano per avere giustizia. «Il mio territorio è sempre stato conosciuto come territorio delle acque – ha cominciato la giovane – ospitando la seconda falda più grande d’Europa. Oggi la mia terra è conosciuta come zona rossa Pfas. Questi composti chimici utilizzati in numerose applicazioni industriali sono ormai noti per i danni significativi che possono recare alla salute inclusi infertilità, aumento del colesterolo, abbassamento delle difese immunitarie e tumori. La loro presenza nelle acque, nei suoli e nei corpi rappresenta una minaccia che non possiamo più evitare».

Maria – prosegue il CdV ha poi riconosciuto l’importanza del lavoro svolto dal gruppo mamme No Pfas, che al fianco di altre associazioni che stanno lottando sia per la bonifica del sito dell’ex stabilimento sia per la messa al bando in Italia di queste sostanze. «Dopo numerosi studi che hanno confermato la pericolosità dei Pfas mi chiedo perché ancora il governo non abbia emanato misure concrete per affrontare l’emergenza – ha detto -. Nel 1987 con il Rapporto Brundtland della commissione mondiale su ambiente e sviluppo viene definito il principio dello sviluppo sostenibile come uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni del futuro di soddisfare i propri, cosa che al momento stiamo mettendo a repentaglio. Come possiamo noi giovani ad avere fiducia nelle istituzioni se non sono neanche in grado di darci l’acqua pulita? Quando verrà il momento di formare una famiglia dovrò riflettere attentamente se rimanere in Veneto alla luce dei problemi creati dai Pfas. È questo che intendiamo per progresso? La cosa che mi fa star male – ha concluso – è che sapevano di avvelenarci e non hanno fatto niente»”.