“Photogeneration”. Una parola per raccontare il fenomeno che coinvolge ragazzi e ragazze d’oggi che, complici Facebook, Instagram e altri social network, si nutrono e “vivono” di immagini.
«L’idea che i ragazzi hanno di loro stessi e che si fanno degli altri e ciò che pensano del mondo è costruita sulle immagini – dice Pier Paolo Frigotto, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale “G. Parise” di Arzignano e Montorso Vicentino e dell’Istituto comprensivo statale “A. Frank” di Montecchio Maggiore, attento osservatore dei “suoi” studenti e promotore di numerose iniziative educative all’interno delle scuole che dirige -. A una rapidissima evoluzione delle tecnologie e delle nuove modalità di entrare in relazione che queste hanno portato, non si è accompagnata una seria educazione rispetto ad esse».
«La sensazione è che ormai si fotografi senza riconoscere l’alterità – continua il dirigente -, ma con l’intento di appianare le differenze, quasi ci fosse una “versione condivisa dell’esistenza” davanti a cui si è posti».
I post diventano così conseguenze di emozioni, positive e negative, con risvolti che possono essere anche pericolosi, a maggior ragione adesso che il Revenge porn è quasi legge.
«Un altro aspetto è che se non si fotografa qualsiasi evento, sembra non sia avvenuto. Se i ragazzi non “postano” un’immagine di una festa a cui hanno partecipato o della relazione che stanno vivendo, è un po’ come se tutto ciò non fosse davvero successo. Perché non l’hanno detto con le immagini. Non è da criticare l’uso di tali applicazioni, quanto piuttosto il fatto che manchi un’educazione ad affrontare l’altro e se stessi attraverso le immagini».
Il mondo della scuola ha una grossa responsabilità: «L’istituzione scolastica è necessario che si fermi a ragionare su quello che sta accadendo, soprattutto da un punto di vista educativo. Questo in ragione del fatto che i ragazzi sembrano essere diventati una sorta di “cavie da esperimento”: trasferiscono parti di sé in un ambiente – il web – accessibile a tutti, dove chiunque può entrare, commentare, giudicare. Quest’attraente possibilità contiene logicamente delle problematicità, anche molto serie».
Anche i circoli Noi associazione da qualche anno si occupano del tema della diffusione delle immagini su internet e sui social. Per don Matteo Zorzanello, presidente dell’associazione che riunisce gli oratori della Diocesi di Vicenza «è tutta una questione di “tempistiche”». Nel senso che «prima di pubblicare ognuno di noi deve essere consapevole del fatto che quella foto, quel testo non saranno più nostri. Le immagini saranno visibili per sempre, anche da persone che non conosciamo. Ogni ragazzo – ma anche gli adulti – prima di postare deve porsi la seguente domanda: “Tra trent’anni avrò il piacere che qualcuno la veda? Ne sarò orgoglioso?” Se c’è anche il minimo dubbio è meglio tenere a freno le dita».
La pastorale giovanile della Diocesi è impegnata, invece, in corsi di affettività, dove viene affrontato anche il delicato tema della diffusione di fotografie a sfondo sessuale.
«L’immagine, nelle relazioni umane, è per eccellenza un modo per esercitare la padronanza su quello che sfugge al controllo – suggerisce Frigotto -. E quante immagini oscene girano in internet! La sessualità diventa ostentazione a causa del turbamento che l’accompagna. I ragazzi la banalizzano per poterla dominare, la traducono in immagine per farne un gioco e in qualche modo “addomesticarla”. Così, però, la si distrugge: si smarrisce il suo piacere, si perde l’opportunità di trasformarla in simbolo. Simbolo dell’incontro con l’altro, desiderio di dono reciproco».
«I ragazzi corrono il rischio di essere maggiormente traditi dalle immagini, perché nel frattempo sono chiamati a portare a termine un compito evolutivo fondamentale: trovare la loro identità. E questa come può, a maggior ragione oggi, non passare dalle immagini?»
A differenza delle generazioni passate, infatti, i nostri ragazzi devono “fare i conti” con la loro identità digitale. Ognuno di noi deve farne i conti ogni giorno, ma i giovani hanno il delicato compito di formarsela.
«Sarebbe interessante – suggerisce Frigotto – provare a pensare dei modi per guardare insieme alcune immagini, per ragionare su di esse con l’obiettivo di arrivare a un’educazione alle fotografie. Questo forse può essere un metodo per “fermarsi” su una fotografia, per guardarla e pensare che cosa si vuole trasmettere attraverso essa, prima che venga inserita nell’autostrada digitale.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” recita il Vangelo. «Oggi le pietre si scagliano su internet. E sono ben più pericolose di quelle ai tempi di Gesù» osserva don Zorzanello.
«La scuola, in modo particolare e del tutto nuovo, può diventare vero e proprio “laboratorio sociale” in cui si prepara il cittadino che sa dire “no” all’alienazione della società dell’immagine e “sì” a un sano protagonismo nello studio, nello sport, nel volontariato.Non basta la famiglia, spesso considerata dagli adolescenti l’ultimo baluardo delle rassicurazioni materne e delle certezze economiche. Di fronte alla minaccia delle “invasioni barbariche delle immagini” serve un’educazione scolastica seria e concreta affinché sull’altare dei legami consumati in un click non rimanga che la cenere di passioni tristi, fonte di noia e perdita di fiducia» conclude Frigotto.