di Mirko De Carli, coordinatore Alta Italia del Popolo della Famiglia
Dopo aver lanciato ieri la proposta del “piano nazionale per la famiglia” si è sviluppato un acceso e proficuo dibattito attorno alle 8 proposte chiave presenti nel documento. Parto da una premessa: questa iniziativa è ispirata a politiche già realizzate da altri governi in carica (mi riferisco in particolare a quello ungherese di Orbán Viktor) e che hanno dato frutti estremamente positivi in termini di crescita del tasso di natalità, dell’occupazione e del PiL interno. Si tratta di una ricetta shock che pone al primo posto dell’agenda governativa una vera e propria riforma fiscale per dare “più soldi e meno tasse” alle famiglie, in particolare quelle che hanno e che fanno figli.
Partiamo dal primo punto: un assegno di almeno 30.000 euro per chi ha una famiglia numerosa (dai 3 figli in su). Sembrano tanti soldi ma non lo sono. Significa predisporre una misura una tantum che scatta solo quando la famiglia passa da 4 a 5 componenti e che garantisce un supporto necessario alle spese da sostenere per un nucleo familiare che diventa sempre più grande ed articolato (eventuale cambio della casa o lavori di adattamento per il terzo figlio, gestione di un numero sempre maggiore di figli…). In altri paesi danno cifre simili o offrono soluzioni compensative rispetto a quella monetaria come un appezzamento di terra (vedi Russia). L’impatto per le casse dello Stato è assolutamente sostenibile in quanto nel 2017 sono nati 458.151 bambini (in generale) e il numero riguardante le famiglie potenzialmente oggetto di questa misura è in percentuale estremamente ridotta.
Passiamo all’esenzione dall’Irpef: è necessario azzerare la pressione fiscale sulle mamme di famiglie numerose. Questo darebbe ulteriore ossigeno nel medio-lungo periodo a queste famiglie permettendogli di trattenere in tasca soldi necessari a compensare i maggiori così dovuti alla crescita dimensionale del nucleo familiare. Ad oggi le famiglie con più di 4 figli sono 348.594 (dati riferiti al censimento ISTAT del 2011) e l’impatto di una riduzione fiscale come questa sarebbe ovviamente minimo per le casse dello Stato. Per quanto poi concerne il piano di prestiti agevolati significa semplicemente avviare accordi con le principali banche italiane dove lo Stato si farebbe garante delle posizioni sottolineate dal piano nazionale per la famiglia (prestito di 30.000 per le donne under 40 che si sposano per la prima volta e finanziamento per l’acquisto della prima casa ad una famiglia con un figlio appena nato) per sopperire alla mancata “bancabilità” riscontrata dai contratti di lavoro attuali (soprattutto dei più giovani) per i primi tre-cinque anni di vita di un eventuale mutuo o fideiussione a garanzia di un contratto di locazione.
In merito poi agli assegni per i figli nati (3.000 euro dopo il secondo figlio e 12.000 dopo il terzo) significa premiare non solo le famiglie numerose ma anche chi vuole, col tempo, diventare famiglia con più figli: offrire solo un assegno alle famiglie dai 5 componenti in su non avrebbe incentivato un aumento progressivo del tasso di natalità, visto che il nostro paese ad oggi ha un media di figli per coppia di poco superiore ad 1.
Per quanto concerne il sussidio di 7.000 euro per l’acquisto di un’auto a 7 posti significa pianificare un accordo con le case automobilistiche per favorire lo sviluppo di questo settore (con attenzione anche al tema della tutela dell’ambiente, favorendo la motorizzazione a metano, gas naturale ed elettrico) abbattendo i costi fino all’importo sopraindicato attraverso incentivi statali, sgravi fiscali e azzeramento degli interessi nel caso di prestiti per l’acquisto stesso.
L’incremento poi del numero degli asili non significa per forza spesa pubblica: attraverso la realizzazione di una piena libertà e parità scolastica e il pieno riconoscimento delle scuole parentali si potrà far crescere il numero di posti offerti alle famiglie attraverso la crescita e lo sviluppo armonico del privato sociale (oltre ovviamente ai necessari e possibili investimenti nel settore pubblico).
Come ben potete osservare si parla di cifre assolutamente compatibili con il bilancio dello stato e sostenibili in una manovra finanziaria come quella varata dall’attuale governo nel 2018: con quegli stessi soldi (anzi forse anche meno) spesi per il reddito di cittadinanza e “quota cento” si sarebbe potuto realizzare un vero e proprio “piano nazionale per la famiglia” capace di partire dal riconoscimento del ruolo sociale della mamma con il reddito di maternità e di arrivare a dare ossigeno alle famiglie che hanno e che vogliono fare figli in questo paese.