Piano Sga per i 19 mld di sofferenze di BPVi e Veneto Banca: emissione di bond ma con almeno tre vincoli e poi Ifis, Veneto Sviluppo ma non Mion

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Ci ha messo il suo tempo la Sga, a riattivarsi. Ma il piano industriale dopo oltre un anno è pronto: entro l’11 luglio andrà ai liquidatori delle due banche venete, definendo le strategie per riprendersi il massimo di quei 19 miliardi di crediti difficili erogati da Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, trascurati da Intesa Sanpaolo l’anno scorso e finiti nelle due liquidazioni. Il veicolo pubblico chiamato dal governo Gentiloni a occuparsi della parte peggiore di quei prestiti: 12 miliardi di crediti inesigibili da recuperare una tantum, 6,4 miliardi di incagli (detti Unlikely to pay) su cui si erogherà nuova finanza stimata in circa un miliardo per agevolarne la ristrutturazione e il rimborso integrale, infine 0,7 miliardi di crediti esteri da valorizzare.

La seconda vita della Sga non è partita facilmente, per i tre vincoli posti alla società guidata da Marina Natale (ex vice dg di Unicredit) dagli attori del salvataggio delle banche venete. Il primo deriva dalla scarsità di risorse attivate dal decreto Salvabanche. Non che 20 miliardi siano pochi: lo erano risolvere del tutto i problemi più urgenti cumulatisi in 10 anni di crisi nel settore bancario (difatti altri paesi Ue hanno aiutato i loro istituti con cifre a uno zero in più). Così per non sfondare il tetto dei 20 miliardi stanziati per Mps e le due venete, l’esecutivo impose curve di recupero delle sofferenze di Bpvi e Vb ottimistiche, pari al 55% medio. Il loro management, che allora negoziava con le autorità e col compratore (a un euro) Intesa Sanpaolo, era restio, così entrò in scena la Banca d’Italia, fornendo uno studio interno che calzava a pennello. L’altro stratagemma, usato per non dover tornare in aula e trovare una maggioranza qualificata che ampliasse la dote del Salvabanche, fu il pagamento disposto per Sga: che ha solo segnato un debito verso le due liquidazioni, da estinguere con il graduale rimborso dei flussi di Npl; per questo i tre meccanismi dureranno una ventina d’anni. Il terzo vincolo invece è negoziale: lo ha posto Intesa Sanpaolo, rifiutando di comprare quasi 8 miliardi di crediti veneti vivi, ma incagliati. Si dice che lo Stato fosse disposto a girarli all’istituto compratore con garanzia pubblica, e che la divisione commerciale fosse tentata: ma prevalsero le ritrosie del risk management di Intesa Sanpaolo e quel pezzo di economia del Nord Est è transumato verso la Sga. Per quei 25mila imprenditori (e 20mila famiglie “incagliate”), non è esattamente come negoziare con una banca: l’approccio, secondo chi c’è dentro, è più da procedura che da business, il che non agevola il risanamento.

Presa nella burocrazia e nello sforzo di ripiantare una struttura nata nel 1997 per il crac del Banco di Napoli – anche triplicando gli organici, ora quasi 300 – la Sga cerca con il piano di darsi la scossa, e fare emergere la “linea di diligenza” del management nel lungo e irto cammino da fare sui due speculari mestieri. Da una lato il recupero sofferenze, che andrà quantificato sui diversi tipi di portafo

gli: da mesi, anche rintracciando dati sparsi per le più remote filiali della rete Bpvi e Vb, il veicolo arricchisce e segmenta per tipologie i dossier di Npl per migliorarne, con la qualità dei dati, il valore del recupero. Il fatto che i crediti siano giunti nella Sga da soli tre mesi probabilmente impedirà di fornire una stima di recupero che si confronti con il 55% ipotizzato da Bankitalia un anno fa.

Sul fronte Utp, invece, Sga gestirà le esposizioni di aziende, specie le 700 più grandi che le devono circa 2 miliardi: per chi merita si profilano nuove scadenze e condizioni, e nuova finanza nell’intorno di un miliardo, per preservare l’intera esposizione.

Le munizioni finanziarie dovrebbero venire anche tramite un programma di emissioni di bond, che Sga ha fino a un miliardo come provvista; ma la prima emissione, attesa entro fine luglio, sembra rinviata per le non buone condizioni di mercato. Frattanto si punta sulla liquidità in cassa e sui tempi migliori. Ancor più della nuova “finanza”, però, serviranno collaborazioni, per sfruttare le competenze di chi ha più pratica di mercato o locale. Le indiscrezioni puntano su Banca Ifìs per partnership nel factoring, su gestori esterni per gli Npl di piccolo taglio, e sulla finanziaria regionale Veneto Sviluppo per un fondo fino a 400 milioni a supporto dei mille più grandi dossier Utp. Gianni Mion, ventilato tra gli investitori, avrebbe declinato, timoroso che prevalessero logiche politiche; altri soci privati sarebbero in arrivo.

di Andrea Greco, da La Repubblica