Piercamillo Davigo non potrà continuare a svolgere il suo ruolo nel CSM, ex giudice Giovanni Schiavon: una decisione legittima e condivisibile

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Piercamillo Davigo
Piercamillo Davigo

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha deciso, a maggioranza, che il suo consigliere togato Piercamillo Davigo non potrà continuare a svolgere il suo ruolo all’interno dell’organo di autogoverno dei magistrati, il CSM, a partire dal 20 ottobre c.a., data in cui l’ex componente del Pool di Mani Pulite ha compiuto 70 anni (che, com’è noto è il limite posto dal legislatore per la permanenza nello status di magistrato). La sofferta decisione è stata assunta (pur con la comune consapevolezza della perdita di un membro autorevole e valoroso come Davigo) fra diffuse polemiche riguardanti l’interpretazione dei precetti normativi  che riguardano le nomine al CSM.

E’ utile allora proporre qualche riflessione per meglio comprendere il problema in tutta la sua estensione.

Dalle notizie di stampa si apprende che gli argomenti addotti dal CSM per dichiarare Davigo decaduto erano ricavati non solo dall’inderogabile rapporto tra componenti laici e togati, ma anche dal rilievo che, dopo il pensionamento, l’interessato non sarebbe più stato sottoponibile a procedimenti disciplinari (che, se iniziati, sarebbero decaduti, com’è pacifico, proprio per effetto del suo collocamento a riposo).

Questo secondo rilievo non mi pare particolarmente persuasivo perché anche i membri laici del CSM, che non sono sottoponibili a procedimenti disciplinari, decadono in caso di condanna penale. E rimane, quindi, sempre ferma la possibilità che chi cessa dal servizio sia sottoposto a misure sanzionatorie per fatti gravi.

Ma il fondamento dell’inevitabile decadenza da membro del CSM da parte di un magistrato andato a riposo sta nel fatto che il pensionamento fa venir meno lo status di magistrato ordinario e comporta, pertanto, la cessazione delle funzioni giudiziarie (e, dunque, anche di quelle di componente del CSM).

E’ certo vero – come ha ricordato l’ormai ex magistrato – che l’art. 104 della Costituzione prevede che i membri elettivi durano in carica quattro anni (comma 6) e che neppure la legge istitutiva dal CSM menziona, fra le cause di cessazione, il collocamento a riposo; ma è anche indiscutibile che il termine dei quattro anni è riferito all’organo nel suo complesso e non ai suoi singoli componenti. E, soprattutto, non si può prescindere dal rilievo che l’appartenenza all’ordine giudiziario costituisce la necessaria condizione per il mantenimento dell’incarico di membro eletto; quello status, cioè, è il presupposto stesso della sua funzione di consigliere, indissolubilmente  legata al primo.

Si può aggiungere un ulteriore decisivo argomento, che non risulta essere stato focalizzato nella discussione al Consiglio: le disposizioni normative sui Consigli Giudiziari relative alla  decadenza dall’incarico (D.L. n. 25/2006 contenente la loro nuova disciplina) sono sovrapponibili a quelle del Consiglio Superiore; e non si è mai dubitato che il magistrato che cessasse dal servizio nel Distretto (magari anche solo per trasferimento in un altro) dovesse lasciare la sua funzione all’interno del consiglio nel quale era stato eletto.

E questo perché quella del magistrato eletto (al Consiglio Superiore o a quello Giudiziario) è una di quelle attività che possono essere da lui svolte solo nel corso della sua carriera, la sola che potrebbe esprimere l’elezione per volontà dell’elettorato; elettorato che non potrebbe rivolgere la propria nomina ad un soggetto che, appunto, non appartenesse all’ordine dei magistrati. L’unica differenza fra le figure dei membri togati del Consiglio Superiore e del Consiglio Giudiziario è che i primi devono necessariamente essere collocati fuori ruolo. Quindi, essere componente togato non è altro che l’estrinsecazione di tutte le attività possibili all’interno della magistratura e come tale, indissolubilmente legata al ruolo (mentre il membro laico è collegato, per la sua nomina, al mondo politico).

Si aggiunga che, per la medesima ragione, il giudice collocato a riposo non potrebbe neppure ultimare i processi penali che avesse in corso al momento del pensionamento; proprio perché cessa di avere l’investitura di magistrato.

Il CSM è organo di rilievo costituzionale deputato a governare la magistratura;  la Costituzione vuole che, con la sola esclusione dei suoi membri laici, di nomina politica, il governo sia affidato ai magistrati in servizio (e, per questo, si definisce organo di autogoverno).

Anche il primo Presidente e il Procuratore Generale della Cassazione cessano dalla carica nel momento in cui esauriscono il loro ruolo di magistrati. E’ pur vero che essi partecipano al CSM non perché elettivi, ma per il fatto stesso di rivestire quella carica; ma è anche da osservare che, anche in questo caso, il presupposto stesso della loro appartenenza al Consiglio sta proprio e solo nel fatto di continuare a svolgere (peraltro, neppure fuori ruolo) la loro attività di magistrati in servizio,

Mi pare, perciò, totalmente condivisibile la decisione del CSM. Le polemiche nel cui contesto essa è sorta non sono davvero comprensibili.


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