La società presente ha un bisogno, quasi ossessivo, di costruire qualcosa di fisico e duraturo a ricordo di persone o fatti accaduti nel passato, il che si sta tristemente verificando anche per eventi accaduti recentemente.
Ha fatto scalpore, gridare allo scandalo, dividere persone e versare fiumi d’ inchiostro e di parole, anche a livello nazionale, la decisione del Consiglio Comunale di Schio (VI) di non installare nel proprio Comune le pietre d’inciampo a memoria dei propri concittadini deportati.
Non è mia intenzione entrare nel merito della tragicità di quegli eventi, semplicemente ho trovato alquanto gridata e poco costruttiva tutta la vicenda, e francamente anche poco rispettosa delle donne e degli uomini che l’hanno vissuta in prima persona.
Se la memoria per essere tale deve trasformarsi in pietre d’inciampo, significa che la società civile ha già perso: ha perso contezza della propria storia e umilia se stessa nel dimostrare di aver bisogno di un oggetto per mantenerla in vita.
Di quante pietre d’inciampo avremmo bisogno per tenere a mente e imparare da ciò che è stato, se per ogni evento tragico, ingiusto, violento verificatosi nel passato volessimo apporre una pietra? O farne un monumento?
O non è forse il caso di ammettere che è la nostra memoria collettiva ad essere fallace?
E che una formella o un monumento salva più l’apparenza che non la sostanza delle cose?
Ma coltivare la memoria vera richiede costanza, gesti concreti e intransigenza quotidiana che hanno poco a che vedere con la semplice apparenza: qualità che abbonda nel presente.
A nulla valgono queste azioni plateali rispetto ai semplici, fruibili e vivi libri: loro raccontano, parlano, ci spiegano e ci illustrano la storia; ci obbligano ad inciampare nei fatti descritti, a riflettere e a farci un’opinione nostra che nessuno potrà cancellare.
I libri non siano solo pietre d’ inciampo: ma pietre angolari sulle quali costruire il presente con lo sguardo mai sazio rivolto al passato.
Irma Lovato Serena