La sospensione dell’esecuzione della plasmaferesi e dello scambio plasmatico nei soggetti con elevate concentrazioni di PFAS, decisa dalla Regione Veneto in seguito alle dichiarazioni del Ministro della Salute e di autorevoli ricercatori dell’ Istituto Superiore di Sanità, impone delle riflessioni sull’appropriatezza dei provvedimenti attuati dalle Istituzioni Regionali e Nazionali per fronteggiare l’inquinamento da PFAS che ha colpito principalmente un ampio territorio delle province di Vicenza, Padova e Verona.
Nello scorso mese di luglio la Regione Veneto aveva inviato all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il protocollo sulla plasmaferesi e lo scambio plasmatico applicati alla rimozione dei PFAS dal sangue dei soggetti contaminati. Il protocollo, a differenza di altri importanti provvedimenti atti a mitigare gli effetti del disastro ambientale, non è stato mai concordato con l’ISS. Nonostante ciò si è ritenuto di procedere ugualmente, senza attendere il parere dell’ISS che non risulta, tra l’altro, sia stato specificamente sollecitato nonostante il ritardo delle Istituzioni romane nel pronunciarsi. L’intenzione evidentemente, era di abbattere drasticamente le concentrazioni di PFAS nel sangue umano e, in definitiva, di ridurne la tossicità. Questa convinzione per noi Medici ISDE (International Society of Doctors for the Environment), non è sufficientemente suffragata da riscontri scientifici e presenta diverse criticità.
1) Non esistono livelli ematici di PFAS che possono ritenersi “sicuri” per la salute umana. Gli effetti tossici dei PFAS sono determinati dal loro accumulo nell’organismo umano negli anni e non tanto dalla loro puntuale concentrazione ematica. Altrettanto arbitrari sono i livelli di PFOA scelti per avviare i soggetti contaminati all’aferesi (100 ng/ml di sangue nei bambini e 150 ng/ml negli adulti) e di assegnare soggetti asintomatici con più di 200 ng/ml di PFOA allo scambio plasmatico, procedura questa molta più invasiva della plasmaferesi proposta a soggetti altrettanto sani e asintomatici ma con livelli plasmatici di PFAS più bassi.
2) Proporre il trattamento plasmaferetico iniziando dai soggetti giovani, sani ed asintomatici è criticabile sia sul piano scientifico sia su quello etico. A nostro parere, sarebbe stato più opportuno considerare in primo luogo i soggetti portatori di una o più patologie tumorali e di malattie metabolico-degenerative risultate statisticamente più frequenti nelle popolazioni contaminate dai PFAS.
3) È semanticamente e scientificamente errato utilizzare il termine di “aferesi terapeutica” in riferimento al “trattamento” proposto ai giovani della zona rossa; trattandosi in definitiva di individui sani, senza alcuna malattia in atto, asintomatici, non si comprende, infatti, quali siano le gravi patologie che devono essere curate in modo così invasivo e urgente.
4) L’infusione di albumina in soggetti privi di patologia per fini sostanzialmente diversi da quelli terapeutici, rappresenta un uso inappropriato di un farmaco importante, di origine umana, di limitata disponibilità e, pertanto, da usare con parsimonia e secondo le indicazioni approvate dalla farmacopea, che non comprendono l’utilizzo di albumina come sostituto del plasma da infondere ai soggetti contaminati da PFAS né da altri inquinanti industriali. L’improprio utilizzo dell’albumina impone anche una riflessione etica sul rispetto e sul significato del consenso fornito dal donatore, che compie il nobile gesto convinto che il proprio plasma sia destinato a pazienti gravemente malati e non a persone sane.
5) Non è stato definito con rigore scientifico l’intervallo tra le sedute aferetiche. Il “timing” tra le sedute è importante per consentire, qualora avvenga la dismissione (mai dimostrata finora) dei PFAS dagli organi e tessuti nei quali si sono accumulati nel corso degli anni, ai livelli ematici di risalire a livelli il più possibilmente vicini a quelli pretrattamento. In questo modo, nelle sedute successive si eliminerebbe una maggiore quantità di PFAS. Conseguentemente, si potrebbero ridurre il numero di sedute, i disagi per i soggetti contaminati e il consumo di risorse pubbliche. Le aferesi ravvicinate potrebbero ridurre la resa in termini di quantità di PFAS eliminati, come suggerito dai dati recentemente presentati dalla Regione Veneto sulle prime aferesi effettuate prima della sospensione.
6) Studi recenti indicano in 0,1 ng/ml le concentrazioni di PFOA probabilmente non associate ad effetti tossici a carico del sistema immunitario nell’ essere umano. E’ noto che i residenti nella “zona rossa” hanno una media di PFOA nel sangue circa 700 volte il livello di sicurezza e che tali livelli sono superati anche dalla maggioranza dei residenti fuori dalla zona rossa. E’ quindi certa una contaminazione di “fondo” che richiede altri contestuali drastici provvedimenti a protezione della salute pubblica dei cittadini veneti anche al di fuori della zona rossa.
7) Non è dimostrato che l’aferesi apporti significativi benefici rispetto ad altri provvedimenti di sanità pubblica, come la fornitura alla popolazione esposta di acqua potabile e di alimenti privi di PFAS. Con tali opportuni provvedimenti, in un periodo di soli sei mesi le concentrazioni di PFAS si sono ridotte “spontaneamente” del 31% rispetto ai valori iniziali, mentre dopo quattro sedute di plasmaferesi in due mesi la riduzione si è fermata al 35% del valore basale. Quindi, se da un lato auspichiamo che si continui nell’opera di mitigazione del rischio attuando immediatamente anche tutti gli altri provvedimenti atti a tutelare la salute pubblica, quali la sospensione delle autorizzazioni a spargere fanghi contenenti PFAS sui terreni agricoli e la ricerca di fonti di approvvigionamento alternative, dall’altro invitiamo a riflettere sulla reale utilità di procedere a tecniche di “pulizia del sangue” in soggetti giovani, sani con meccanismi di eliminazione fisiologici dei PFAS attraverso le urine perfettamente funzionanti.
Pertanto come ISDE riteniamo che sia necessario disegnare uno studio sperimentale concordato con l’Istituto Superiore di Sanità e le principali società scientifiche di medicina trasfusionale e di aferesi. Nel protocollo siano definite a priori modalità, procedure, gestione, monitoraggio dei risultati della plasmaferesi e dello scambio plasmatico quale strumento di riduzione delle concentrazioni plasmatiche dei PFAS nonché i livelli plasmatici che si intendono raggiungere al termine del ciclo di sedute. È indispensabile che lo studio sia approvato dai Comitati Etici Provinciali per la sperimentazione clinica delle aree interessate dall’ inquinamento da PFAS. Solo in questo modo si potranno fornire valide risposte ai tanti dubbi espressi dalla comunità scientifica, soddisfare le aspettative della popolazione il cui interesse principale è di vedersi tutelata la propria salute.
ISDE Veneto si rende disponibile, come sempre, a collaborare con le istituzioni nella gestione del disastro ambientale causato dai PFAS.
Vincenzo Cordiano (nella foto), presidente ISDE Veneto