Gaeta, le polveriere di Monte Orlando e i misteriosi incidenti che le coinvolsero

4618
Polveriera Carolina di Monte Orlando, Gaeta.
Polveriera Carolina di Monte Orlando, Gaeta. Credits: ParchiLazio.it

Nell’area protetta di Monte Orlando è possibile perdersi tra meravigliosi panorami e interessantissime rovine archeologiche, ma sono tanti i segreti da scoprire e in cui, passeggiando, è possibile imbattersi.

La posizione strategica del sito – praticamente un’inattaccabile fortezza naturale a picco sul mare collegata alla terraforma soltanto da un piccolo istmo – ha offerto una base perfetta per l’edilizia militare: in epoca aragonese-borbonica (più o meno dal XIV al XVIII secolo), infatti, sono state messe in piedi importanti fortificazioni e strutture di muraglioni e cunicoli che hanno incluso anche delle polveriere che sono rimaste a lungo nell’immaginario collettivo. Complici anche i misteriosi incidenti che hanno talmente traumatizzato il popolo da restare impressi nella memoria dei presenti e immortalati in dipinti che ancora ce li raccontano.

Le fortificazioni borboniche – Le fortificazioni borboniche di Monte Orlando si trovano ubicate nella parte terminale dei Monti Aurunci e costituiscono una sorta di città sotterranea fatta di piazzole, rampe e postazioni e articolata attraverso muraglioni, cunicoli e aree varie, incluse le polveriere di cui è possibile visionare i resti.

Hanno rappresentato a lungo la difesa di Gaeta a tutto tondo: durante le incursioni del Settecento (austriaci), i famosi assedi del 1799 e, poco dopo, tra il 1806 e il 1815 (Repubblica Napoletana e accadimenti successivi) e tantissimi altri eventi storici che hanno tolto serenità ad una città che era vissuta in pace per ben due secoli.

È stata studiata la possibilità di inserire un ponte levatoio ed un fossato per isolare ancora di più il sito e, via via, sono stati costruiti nuovi baluardi di difesa che hanno condotto all’ultimo sanguinoso capitolo della storia della città: l’assedio di Gaeta avvenuto tra il 5 novembre 1860 e il 13 febbraio 1861, con cui cadde il Regno delle Due Sicilie.

Batterie di Monte Orlando; credits: marketing.territoriale.it
Batterie di Monte Orlando; credits: marketing.territoriale.it

Ma il ruolo difensivo di Monte Orlando non si concluse con l’Unità d’Italia. È stato proprio il governo italiano, infatti, a voler affiancare alle batterie preesistenti (“Batteria Regina”, “Phillipsthall”, “Dente di Sega”, “Cinquepiani” etc) la grande struttura che circonda la sommità della collina su due livelli, articolandosi in una parte anulare superiore, dove figurava addirittura un cannone (mai utilizzato), ed una inferiore, costituita da locali con chiusura stagna per il contenimento di danni dovuti ad eventuali esplosioni. La Batteria di Monte Orlando Superiore, in particolare, si costituiva di piazzole contenenti due elevatori a carrucola per le munizioni; piazzole che vennero utilizzate dai tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale, per posizionare le loro mitragliatrici antiaeree.

Le polveriere – Le polveriere di Monte Orlando erano deputate alla custodia di materiale bellico (come si evince dal nome, soprattutto di polvere da sparo) ed erano protette da mura poderose. Quelle conservate in ottimo stato, ad oggi, sono tre:

  • la Carolina, costruita nella seconda metà del Settecento dall’ingegnere militare Giovanni Battista Pinto sul versante meridionale del promontorio;
  • la Real Ferdinando, simile alla precedente ma più piccola, racchiusa tra grossi contrafforti in pietra; anche questa edificata da Pinto su commissione del re Ferdinando IV di Borbone, è oggi sede del Laboratorio di studi (botanica, zoologia, geologia e paleontologia) e Museo Naturalistico del Parco Regionale Urbano di Monte Orlando;
  • la Trabacco, situata a sud, sullo strapiombo della falesia, dotata di una cisterna per la raccolta delle acque piovane e di una garitta.

Tutte sono state interessate, nell’arco dei secoli, da varie opere di restauro di cui la più importante resta quella del 1811, grazie alla quale ottennero una copertura a tenuta perfetta costituita da un grosso strato di terra asciutta inserito tra la tettoia a doppia spiovenza e la sottostante volta a botte.

Ma tutti questi interventi, in realtà, non erano solo figli del tempo e di ammodernamenti: due polveriere sono misteriosamente scoppiate – in momenti diversi – seminando il panico tra i residenti e generando una serie di “voci di popolo” e leggende.

La Carolina (che prendeva il nome dalla regina Maria Carolina d’Austria) è stata protagonista di uno scoppio distruttivo nel 1939 di cui restano ancora sconosciute le cause, ma la concomitanza degli eventi fu incredibile: il 1° Settembre le forze armate tedesche avevano invaso la Polonia, dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale; la polveriera saltò in aria il giorno dopo, quasi come un presagio di quello che Gaeta avrebbe vissuto di lì a poco. Tanto che gli abitanti si allarmarono e scattò l’allarme guerra, che rientrò nel giro di qualche ora. Nonostante i danni ingenti, testimonianze dell’epoca hanno riferito di come una tragedia più grande sia stata evitata, poiché le fiamme si fermarono davanti alla porta di un altro deposito di munizioni: e, poiché proprio su quella porta era presente l’immagine di San Giovanni Bosco (canonizzato pochi anni prima, il 1° aprile 1934), questi avvenimenti sono diventati tessuto del cosiddetto “Miracolo di Don Bosco“.

La batteria Cittadella della fortezza di Gaeta dopo l'assedio
La batteria Cittadella della fortezza di Gaeta dopo l’assedio. Sono visibili i segni del bombardamento. Ph. Giorgio Sommer.

Nel 1861, invece, era toccato alla S. Antonio, nell’attuale quartiere medievale (nei pressi dell’odierna base NATO); lo avevano raccontato diversi dipinti e cronache del tempo: il contesto era quello dell’utimo grande assedio della città e l’incidente venne vissuto come il più grave di quella già disastrosa e concitata fase storica. Nel “Giornale dell’assedio di Gaeta” di Carlo Garnier si parla di un rumore spaventoso, pietre e scogli che rimbalzavano, enormi nubi di polveri e, purtroppo, della scomparsa di centinaia di soldati, di tantissimi feriti gravi e della distruzione di intere famiglie di civili. Alla fine del disastro si contarono un’infinità di macerie.