Quando gli inglesi dicevano che il ponte Real Ferdinando sul Garigliano era un “vano esperimento di sprovveduti”

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Ponte Real Ferdinando, ph Luca De Siena
Ponte Real Ferdinando, ph. Luca De Siena

Cosa sono i confini se non linee immaginarie tracciate dall’uomo semplicemente per una questione sociale e amministrativa? Frontiere invisibili che, in tanti casi, hanno addirittura scatenato guerre, generato odio, invidie e diversità, quasi come fossero veri e propri muri oltre i quali consolidare storie, lingue e tradizioni di civiltà persino antitetiche. Succede ancora oggi e meno lontano di quanto potremmo pensare.

In alcuni casi, però, i tratteggi ospitati sulle cartine geografiche coincidono con elementi concreti e tangibili: succede con il ponte Real Ferdinando, che corre sul fiume Garigliano e segna il confine fluviale tra Lazio e Campania.

Ponte Real Ferdinando
Ponte Real Ferdinando; credits: beniculturali.

È un ponte sospeso – il primo a catenaria di ferro realizzato in Italia e il secondo in Europa, dopo la Gran Bretagna – situato nei pressi dell’Antica Minturnae e la cui realizzazione si dice sia seguita al fallimento della costruzione del ponte sospeso sulla Senna e tra il vociare degli inglesi che non ritenevano gli italiani meridionali capaci di un’opera del genere.

In realtà, il progetto era sempre stato malvisto, anche dai nostri connazionali.

Inizialmente partito dalla fervida immaginazione del mineralogista e vulcanologo casalvelinese Carminantonio Lippi, era stato immediatamente bocciato, tacciato come retrogrado a causa di quell’idea del ferro che richiamava alla mente i ponti di corde delle civiltà Inca e himalayana. Ripreso, qualche anno dopo, dall’ingegnere lucano Luigi Giura, incontrò altra diffidenza; addirittura si rischiò che l’impresa naufragasse vorticosamente senza riuscire a vedere la luce.

Giura studiò diverse ipotesi di realizzazione, lasciandosi ispirare da quello che già cominciava a vedersi in giro per l’Europa ma, al contempo, mettendo al lavoro la creatività per forgiare qualcosa di assolutamente nuovo. La lampadina si accese osservando furbescamente quello che stava accadendo in Francia, con un Pont des Invalides ancora instabile e incompiuto che lasciava spazio all’inventiva per il superamento di difetti e problematiche. La soluzione definitiva arrivò, dopo numerosi viaggi, nel 1828: l’incarico venne confermato da Francesco I di Borbone, padre di Ferdinando II, che comandò l’avvio delle gare d’appalto per ditte e materiali, ovviamente tassativamente all’interno del circondario del Regno delle Due Sicilie. Insomma, c’era l’approvazione della Direzione Nazionale delle strade e dei ponti, eppure l’incredulità era tutt’altro che svanita.

Ancora oggi si ricorda come, a lavori iniziati, The Illustrated London News titolò la faccenda, esprimendo “perplessità sulle capacità progettuali e costruttive dei napoletani e vive preoccupazioni sulla sorte dei poveri sudditi, sicure vittime di questo vano esperimento di sprovveduti dettato solo dalla voglia di primeggiare“.

D’altronde, i segnali funesti c’erano tutti: a Parigi, il vento aveva fatto crollare il ponte sospeso di Navier; a Londra e in Austria ne vennero chiusi altri due per problemi strutturali. La polemica, quindi, si alzò prepotentemente in tutta Europa e questo tipo di progetti venne considerato fallimentare a prescindere; un malcontento che riuscì ad inserirsi anche tra le amministrazioni napoletane, dove il consiglio dei ministri del Re chiese la sospensione dei lavori.

La risposta di Francesco I è rimasta nella storia: “Lassate fa’ ‘o guaglione“.
Ed è stato solo per questa incondizionata fiducia nelle capacità dell’architetto Giura – ‘o guaglione che, all’epoca, aveva solo una trentina d’anni – che, oggi, possiamo “toccare” il confine tra il centro e il nord Italia.

Addirittura, man mano che i lavori proseguivano e con un giovanissimo Ferdinando II salito al trono, si racconta che lo stesso giornale ipotizzò un ponte pronto ma non ancora collaudato per timori di crollo. Le chiacchiere finirono soltanto quando, il 10 maggio 1832, il neo Re si presentò davanti alle torri di sostegno, alla testa di due squadroni di lancieri a cavallo e 16 carri pesanti di artiglieria colmi di materiali e munizioni, seguito da un’ala ambasciatori e militari e una incredibile folla di curiosi; si piazzò al centro del ponte con la sciabola alzata, comandando con fermezza di percorrere la struttura in entrambi i sensi e più volte, prima al trotto, poi al galoppo e, infine, alla carica, concludendo il tutto con carri e truppe. Fu questo il peculiare collaudo del ponte Real Ferdinando che riuscì, così, a guadagnarsi la benedizione del vescovo di Gaeta e un’allegra processione popolare a base di danze e fuochi d’artificio.

Ponte Real Ferdinando; credits Mapio.net
Ponte Real Ferdinando, panoramica; credits Mapio.net

Il segreto di quel successo? L’architetto aveva studiato nei minimi dettagli il materiale da sfruttare per scongiurare i problemi che stavano attanagliando il resto d’Europa: utilizzò una lega al nichel prodotta dalle Reali ferriere ed Officine di Mongiana, contemporaneamente irrigidendo le travi con un trafilamento ottenuto tramite una macchina da lui stesso progettata. Insomma, meccanica e chimica.

Il ponte Real Ferdinando era una roccia. Ed è crollato soltanto quando i tedeschi, dopo averlo sfruttato per il transito di gran parte della loro armata in ritirata, lo fecero saltare in aria durante la Seconda Guerra Mondiale. Quello che vediamo oggi è il risultato di un imponente restauro terminato solo nel 1998.

Ponte Real Ferdinando, stampa antica
Ponte Real Ferdinando, stampa antica; credits: lapuntaseccastampeantiche