Tutti conosciamo il ruolo storico-iconografico che i vangeli hanno destinato a Ponzio Pilato: un uomo pieno di dubbi, forse anche spinto da un sentimento di pietà nei confronti di Gesù, ma non sufficientemente forte o di ampia statura morale per opporsi al suo flagello.
Un’immagine foraggiata anche dai tanti lavori artistici che hanno raccontato – a proprio modo – la vita del “figlio di Dio” ma che, a leggere bene il Nuovo Testamento, non trova completamente riscontro nelle parole dei quattro evangelisti: nel Vangelo secondo Marco, ad esempio, compare un Pilato estremamente riluttante a giustiziare Gesù, mentre in quello secondo Matteo c’è la famosa scena il cui il prefetto si lava le mani del caso, mandando “il Nazareno” a morte; nel Vangelo secondo Luca, ancora, Pilato riconosce la non minacciosità di Gesù e in quello secondo Giovanni c’è l’interrogatorio diventato celebre per quel “tu lo dici“. Non basterebbero pagine e pagine per andare a scrutare in tutte le sfumature che diversi scritti – anche non cristiani – hanno riservato a questo personaggio, arrivando ad interpretazioni anche molto lontane tra loro: basti pensare che la Chiesa ortodossa etiope crede nel suo pentimento e, per questo, lo venera come santo ogni 25 di giugno.
Anche la morte di Pilato è avvolta da contorni fumosi: per qualcuno è stato giustiziato dall’imperatore Caligola, successore di Tiberio (sotto il quale morì Gesù); secondo altri, invece, venne esiliato in Gallia, dove si suicidò; per altri ancora si sarebbe persino convertito al cristianesimo e/o sarebbe morto a Vienne (in Francia) o a Latina. Ed è con questa piccola ipotesi “tentacolare” della storia che ci ritroviamo agganciati al basso Lazio e ad un’ulteriore fetta di mistero che circonda le origini di quest’uomo.
Le origini di Pilato – Il nomen “Ponzio”, per la Treccani, rimanderebbe ad un’origine sannita-sabellica mentre il cognomen deriverebbe da pileus, termine che indicava il copricapo usato durante l’affrancamento degli schiavi; da qui una teoria che vedrebbe nel Procuratore addirittura un liberto (o discendente di liberti); per altri, però, “Pilato” sarebbe da associare a pilum (giavellotto). Da quest’analisi non saltano fuori, quindi, troppi elementi per poter decifrare le reali origini di questa personalità così nota eppure così enigmatica.
La sua nascita è avvolta praticamente nella leggenda e sono tante le città che si “contendono” questa paternità: diversi comuni della provincia de L’Aquila, L’Aquila stessa, Isernia, Bisenti (TE), Ameria (oggi Amelia, in Umbria) e svariati comuni laziali.
In particolare, c’è una tradizione che lo vorrebbe legato ad Atina (FR) e una variante che lo collocherebbe nella provincia di Latina, tirando in ballo le antiche città di Cori e Cisterna di Latina. Alcuni ritengono persino che l’isola di Ponza – dove si trovano le “grotte di Pilato” e pare esistesse in passato un “Palazzo di Pilato” – sarebbe stato il luogo del suo esilio (da cui la derivazione del nome).
Ma la teoria più interessante da esplorare è sicuramente quella che coinvolge Scauri.
I ricercatori romani Salvatore Cardillo e Massimo Miranda studiano da anni la storia di questa piccola frazione del Comune di Minturno e, attraverso delle pubblicazioni, hanno proposto una ricostruzione anche relativamente a questo dettaglio.
L’anello di congiunzione tra Scauri e Pilato risiederebbe in Tommaso Elisio (o Elysius), nato a Napoli intorno al 1487. Domenicano e teologo del Collegio dell’Università di Napoli, ebbe tra i sui allievi persino il filosofo Giordano Bruno (che era originario di Nola). La sua fu una personalità anche scomoda, poiché molto rivoluzionaria e progressista: arrivò a proporre ordini monastici femminili meno coercitivi, portandosi a un passo dalla furia dell’Inquisizione.
Nel suo volume Christianae religionis arcana (1569), tra le tante questioni dogmatiche affrontate, Elisio scrive:
“Aliqui dixerunt, illum fuisse de quadam civitate, quae est Campaniae prope Caietam, quae dicebatur Scaulis, quae iam diueuersa est”.
“Alcuni hanno detto che egli [Pilato, ndr] fosse di una certa città, che si trova in Campania, presso Gaeta, che si chiamava Scaulis, che ora è diversa”
L’autore, però, proprio in questo contesto precisa che, secondo il suo parere, si tratterebbe di una notizia falsa e che Pilato sia, in realtà, nativo di Lione.
Il riferimento alla “città diversa” è peculiare: da un lato potrebbe testimoniare una Gaeta che, in quel momento, era distrutta e da ricostruire e, dall’altro, potrebbe essere un riferimento a Pirae (presunta pre-Scauri) o addirittura all’Antica Minturnae.
In ogni caso, è una testimonianza incontrovertibile della tradizione campana-napoletana che, nel XVI secolo, voleva i natali di Ponzio Pilato proprio a Scauri; come una sorta di fact-checking d’altri tempi.
Da qui è partito quel filone che si aggancia alle probabili origini sannite del nomen “Ponzio” (gens Pontia, nobile stirpe di origine sannita) e, per la precisione, ai Sanniti latinizzati immigrati a Minturnae nel 177 a.C., come affermato dalla studiosa Maria Paola Guidobaldi in una sua ricerca degli anni ’80 sulla colonia romana Minturnese.
Seguendo questa linea, ovviamente, tante reclamate origini estere cadrebbero.
La verità (?) – Insomma, nonostante si tratti di una figura così celebre nel nostro immaginario collettivo, di Pilato sappiamo ben poco. Va detto, però, che molti studiosi propendono per una sua origine umbra, in quella Ameria, oggi Amelia, citata prima. Un’indicazione risiede nel vangelo apocrifo degli “Atti di Pilato”, secondo cui il Procuratore più famoso della storia sarebbe morto proprio lì, dopo esservi stato mandato in esilio. Lì, dove è stata attestata la presenza di una villa romana in località monte Pelato (a un centinaio di chilometri dalla città) e dove, nel XVI secolo, è stata ritrovata una curiosa iscrizione nei pressi della Abbazia di San Secondo (a Castiglione del Lago) in cui si accenna ad un certo [Pilatus/IIII VIR/QUINQ (UENNALIS) (CIL, XI 4396)].