Il popolo chiede più sinistra, il Partito Democratico offre Elly Schlein

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Transizione Partito Democratico
Transizione Partito Democratico

All’indomani della vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito Democratico montano i malumori tra gli storici tesserati, tra cui Giuseppe Fioroni, che abbandona il partito perché paventa uno «spostamento troppo a sinistra del PD», mentre la popolazione sembra aver trovato nella giovane underdog (sfavorita) la nuova Giovanna D’Arco della politica italiana, in grado di lanciare la sinistra verso una rivoluzione culturale e sociale che, però, forse, non è tra gli obiettivi dei dirigenti dello stesso PD, avendole preferito Bonaccini.

Ma partiamo innanzitutto da alcuni dati per comprendere meglio la portata reale del Partito Democratico in Italia. Nel 2005 alle primarie della sinistra si recano a votare 4.311.149 elettori e passa Romano Prodi (71,1%); nel 2007 si recano a votare 3.554.169 elettori e vince Walter Veltroni (75,8%); nel 2009 a votare sono in 3.102.709 per eleggere Pierluigi Bersani (53,2%); nel 2012 è sempre Bersani (60,9%) a passare contro Renzi, ma i votanti si abbassano a 2.802.382 e l’anno successivo, il 2013, Matteo Renzi (67,5%) metta la freccia e sorpassa Cuperlo e Civati, portando gli elettori a 2.814.881; nel 2017 Renzi (69,1%) vince, ma gli elettori del PD si abbassano a 1.838.938, per poi scendere nel 2019 a 1.582.083, quando viene eletto Nicola Zingaretti (66%).

Ora, senza troppa esultanza, va detto che domenica 26 febbraio a manifestare la vicinanza al Partito Democratico sono stati 1.098.623 elettori/trici e il verdetto non è stato poi così netto, anzi solo Bersani aveva fatto peggio nel 2009, dal momento che Elly Schlein passa con il 53,75%. Il dato peggiore, tuttavia, è quello dei simpatizzanti del Partito Democratico, che si è ridotto a meno di un quarto rispetto al 2005 con un trend costante in deciso ribasso.

La prima riflessione, quindi, va fatta sul popolo degli elettori della sinistra e del PD e su questo versante non si può non registrare la clamorosa disaffezione che quei 3.200.000 potenziali votanti hanno manifestato nei confronti della politica di sinistra: una sonante sconfitta diremmo, per cui non c’è davvero nulla da esultare.

Tuttavia, un’altra considerazione va fatta: nel 2005 le primarie non riguardavano il Partito Democratico, ma una coalizione chiamata L’Unione, che vedeva coinvolti Rifondazione Comunista, il centro moderato-cattolico e i Democratici di Sinistra, quelli che, avendo riformato nel 1998 il Partito Democratico della Sinistra, avevano rimosso dal loro simbolo la falce e il martello. Con questi presupposti non c’è dubbio che nel 2005 il popolo di sinistra, gli storici militanti ancora legati al vecchio PCI vedessero in quelle bandiere messe tutte insieme un tentativo di ricucire, se non dal punto di vista ideologico almeno su quello programmatico, una frattura che potesse far fronte all’avanzata inarrestabile della destra berlusconiana, una potenza dal punto di vista mediatico e, di conseguenza, anche elettorale. In effetti, anche dal punto di vista programmatico L’Unione non funzionò e Prodi non riuscì a tenere insieme la maggioranza vittoriosa delle elezioni del 2006.

Ora, non deve sfuggire che il Partito Democratico nacque poi ufficialmente il 14 ottobre del 2007 e la transizione avvenne nel momento in cui si legarono insieme il vecchio assembramento dei Democratici di Sinistra e la Margherita, un partito centrista, cattolico, sostanzialmente liberaldemocratico. Con la nascita del Partito Democratico l’asse del protagonismo politico italiano di sinistra si spostò decisamente e definitivamente verso il centro e l’epurazione di ogni riferimento alla sinistra fu totale: se nel 1998 erano scomparsi la falce e il martello, nel 2007 scomparve anche il termine “sinistra” in virtù di un assestamento verso ideali definiti esclusivamente “democratici”. Dal 2007 ad oggi il Partito Democratico ha fatto di tutto per rimarcare, non solo nel linguaggio e nei simboli, ma soprattutto nei fatti, la distanza dalla “sinistra” e lo hanno dimostrato i personaggi, tra cui Renzi, Letta, Rutelli, che lo hanno coordinato, tutti decisamente liberaldemocratici e democristiani, lontani dal sostenere battaglie sociali tipiche della sinistra.

Ora, è comprensibile l’attaccamento ai vecchi valori della “sinistra” di coloro i quali, nati nel secolo scorso, hanno assistito alla transizione del Partito Comunista nel Partito Democratico e vedono in quest’ultimo l’unico erede in grado di affrontare battaglie sociali, antifasciste, egualitarie in un sistema maggioritario, ma il punto è che il Partito Democratico un tale orientamento nei fatti e nelle politiche non l’abbia mai assunto.

E l’aspetto più sorprendente di questa faccenda è che quella retorica anticomunista, avviata negli anni ’90 dalla destra berlusconiana e cavalcata anche prepotentemente dalla parte più centrista e democristiana dal PD per marcare la distanza dal passato infausto dell’Unione Sovietica e dal presente imperialistico della Cina, ha trascinato con sé nel baratro anche ogni riferimento alla possibilità di pensarsi e dirsi a “sinistra”. Di questo mutamento di paradigma va preso atto innanzitutto a partire dall’effetto che la ricezione dei termini “sinistra” e “comunista” ha avuto sui ragazzi e sulle ragazze della Generazione Z o Centennials, Post-Millennials, vale a dire i/le nati/e tra il 1997 e il 2012, i quali e le quali inorridiscono davanti ad un simile estremismo politico, associato, almeno nelle conseguenze pratiche liberticide, alla narrazione mainstream sulle nefaste ricadute della “destra” e del “fascismo”.

Ad ogni modo, il 26 febbraio poco meno di 600.000 italiane e italiani hanno scelto una giovane ragazza benestante, intellettuale, attivista e lesbica alla guida del Partito Democratico, ribaltando l’indicazione dei tesserati. Ora, che Elly Schlein possa riportare il PD alle vecchie battaglie della sinistra è quantomeno auspicabile, stando alle sue dichiarazione sulla scuola pubblica, sul precariato, sulla sanità, sul clima, ma che possa farlo all’interno del Partito Democratico è largamente improbabile per la natura stessa di ciò che è diventato, suo malgrado, quell’assembramento atlantista, liberista, per nulla diverso, nei suoi meccanismi e nelle sue ricadute politiche concrete dal centro-destra, che, invece, è molto più credibile su quel tipo di politiche.

Dispiace dirlo, ma questa vittoria di Elly Schlein ha tutta l’aria di essere un’altra clamorosa vittoria di Pirro, un’occasione mancata per costruire qualcosa che fosse realmente alternativo e “di sinistra” nel nostro paese, senza timore di usare parole d’ordine necessarie quando si tratta di condurre battaglie contro il militarismo dilagante, l’economia di guerra, la retorica della meritocrazia che agevola l’avanzata delle aristocrazie al potere, la disuguaglianza economica e sociale dilagante, il capitalismo incontrollato che mette le mani sul traffico di dati, sulle fonti energetiche, sulla farmacologia e sull’industria militare.

Insomma, la scelta di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico sembra piuttosto un’altra occasione mancata per costruire qualcosa anche lontanamente paragonabile alla Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale francese, la coalizione che ha portato in parlamento forze come La France insoumise, partito di maggioranza di sinistra alle elezioni presidenziali, e ha il coraggio di portarsi dietro formazioni come Europe Écologie Les Verts, Parti Socialiste, Parti Communiste Français, Nouveau Parti Anticapitaliste.


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a cura di Michele Lucivero

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