Populismi e ideologie: bentornato Marx, il motore della politica e della società.

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L’affermazione più inconfutabile di tutto il pensiero marxista, cioè la pietra miliare del pensiero moderno e contemporaneo, è che la storia dell’uomo è storia della sua lotta di classe. In questa equivalenza, biologia, antropologia, e psicologia trovano le loro più importanti corrispondenze con religione, socioeconomia e politica. La natura dell’uomo, il destino inscritto nel suo genoma, si esprimono nei suoi miti, nella sua organizzazione sociale, e la ragione, ancella recente della lotta per la sopravvivenza, si scontra col suo cuore animale dai tempi di Menenio Agrippa e del discorso sul monte Sacro.
Attraverso la mistificazione, la palese contraddizione diventa incerta e indecifrata, e la storia della ragione si muta in lotta contro la menzogna.

Ogni società ha nascosto la realtà della lotta di classe nella celebrazione di sentimenti e valori civili che attutissero la sua asprezza verso soggetti selezionati secondo la prossimità di stirpe, la cordata generazionale, gli interessi condivisi, la comunione di fede. Le forze politiche della destra conservatrice, ad esempio, pur esponendo idee a protezione della disuguaglianza sociale, raccoglievano consensi secondo il canone: Dio, patria e famiglia, promettendo garanzie di complicità e desistenza dalla lotta di classe all’interno di ben delineate cittadinanze, e additando solo nemici esterni pericolosi per l’ordine e gli interessi comuni. Le dottrine politiche di sinistra, al contrario, hanno suscitato intese con parti sociali sottoposte alla stessa contraddizione, hanno scoperto porzioni della struttura economica con cui le classi dominanti tenevano assoggettate quelle gregarie, e hanno indicato come nemici gli stessi vertici della società. A sinistra si sono denunciati gli inganni dei conservatori che proponevano come valori politici la comunanza di ordinari sentimenti civili quali l’amicizia, l’amore, il rispetto etc, (ricordare il partito dell’amore, la festa dell’amicizia…)

Insomma, la sinistra si è proposta fin dalla sua apparizione come un progetto illuministico che smaschera l’intima struttura sociale, dissolve le fandonie e scopre i reali rapporti economici. Un progetto che col tempo ha avuto bisogno di esaltare un soggetto politico che fosse architrave del disegno, alfa e omega delle sue strategie: il popolo. Difatti, nel piano del pensiero marxista – pensiero egemone nella sinistra dalla metà del XIX° secolo – il popolo non è solo il destinatario delle politiche sviluppate da un’élite, ma il vero soggetto della storia, il laboratorio della politica e della morale.

Il secolo XX° è passato nell’alternanza delle egemonie di destra e di sinistra, nella lotta che i due sistemi hanno combattuto per accaparrarsi il consenso. Ma col tempo sono stati inevitabili la contaminazione delle strategie, lo scavalcamento dall’una e dall’altra parte delle politiche sempre più concordi nell’eliminare i radicalismi. Sicché l’annacquamento ideologico ha provocato a sinistra l’estinzione di molti presupposti dottrinari caratteristici e una classe dirigente totalmente nuova. Dal tempo che precedette la scomparsa del partito comunista italiano, ciò che avvertivo nelle conventicole rosse era il disprezzo manifesto per il popolo, per l’imprendibile classe che non si assoggettava alle previsioni, ai vaticini dei teorizzatori nostrani. La distanza tra filosofi e oggetto delle filosofie era saldamente mantenuta da una disuguaglianza economica feroce, che assicurava a una classe di scribi il predominio sociale.

Invece di essere smascherata, la lotta di classe è stata nascosta dalla politica, e quest’ultima è diventata un vero mezzo di mobilità sociale che ha inquinato definitivamente la rappresentanza democratica. La mutazione delle avanguardie si è completata con il trasferimento delle politiche dai problemi sociali a quelli civili, passando per la falsa emancipazione femminile idonea a rimuovere e sostituire i ceti tradizionalmente complici del sistema dominante. Ecco come le ideologie sono diventate narrazione, eloqui che sollecitano senza nessuna garanzia la sensibilità degli strati sofferenti della popolazione. Il vero populismo nasce da qui, dall’uso che si fa del popolo e del potere che hanno le maggioranze e le masse, mentre eserciti di conniventi a vario grado proteggono senza pudore i propri stipendi quali funzione della loro obbedienza allo Stato dei dominanti.

Tutto questo fino al momento in cui il popolo non ha preteso maggiori garanzie al suo consenso, fino a quando non è stato blandito con promesse di vantaggi immediati a spese di nemici esterni alla propria comunità. Il razzismo leghista procede allo stesso modo dei suoi predecessori nazifascisti che esigevano utili da sottrarre alle odiate minoranze. Che ne sarebbe stato difatti del leghismo se non avesse avuto il nemico meridionale e straniero servo dell’egemonia padana? Il fascio-razzismo non si contenta più di orizzonti futuri entro cui venga attenuata la lotta di classe, ma pretende un compenso immediato da estorcere al nemico. I profitti spremuti dai torti distribuiti ai meridionali a nord e dallo sfruttamento della manodopera straniera testimoniano la realtà di questa tesi. Ora un nemico sempre più esterno sta componendo un bacino elettorale più largo, trasformando la Lega Lombarda in Lega Nord e quest’ultima in Lega Italica con formidabili consensi persino in Calabria.

I due popoli che adesso si fronteggiano sono quelli che sono propensi a favorire la dimensione pubblica e quelli che puntano esclusivamente a quella privata. I primi sono coloro che stanno concependo le forme della democrazia diretta e della moralizzazione della politica; gli altri sono quelli soddisfatti della delega a uno che apparentemente tutela il proprio interesse. I primi cioè procedono verso una consistente mitigazione della lotta di classe (in alcuni ambiti ne profetizzano persino l’estinzione), mentre i secondi si contentano di profittare della circostanza di appartenere a maggioranze fortunate.

Il vero guardiano della lotta di classe però, è lo Stato, e sovra ogni altro il potere giudiziario. E’ la Magistratura, che attraverso la complessità delle procedure e la stravaganza delle sentenze, sigilla l’appartenenza di ceto: è essa che costringe col macigno della proprietà privata e dei diritti acquisiti, a mantenere costante la disuguaglianza sociale. Il regno della ragione è ancora lontano, è lontano il contenimento del nucleo animale dell’uomo che ha invece asservito il raziocinio durante il periodo della sua infanzia. Chissà quando arriverà il giorno in cui le energie impiegate in questa lotta saranno definitivamente trasferite alle scienze naturali.