E’ non solo legittimo, ma anche doveroso, criticare i governi che prendono decisioni sbagliate, assurde, disumane, come quando si invoca il blocco navale per impedire ai disperati in fuga dalla fame, dalle guerre, dall’oppressione e dalle persecuzioni per i più diversi motivi, allo scopo di salvaguardare i “sacri” confini del nostro Paese, che sono anche i confini della Unione Europea. Come se salvaguardare i confini fosse più importante che salvaguardare la vita delle persone!
Ma è anche giusto riconoscere a un governo come quello che abbiano adesso in Italia, peraltro criticabile sotto numerosi aspetti, un merito, quando ce l’ha.
E’ il caso di oggi. La buona notizia, riportata da tutti i mezzi di comunicazione, che il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha consentito, nella giornata di ieri, l’approdo in un porto sicuro di tutte e tre le navi ONG che avevano raccolto, nei giorni scorsi, in diverse operazioni di salvataggio, un totale di 542 profughi, se ho fatto il conto giusto.
Così, mentre la piccola motonave “Louise Michel”, sostenuta da Bansky, ha potuto sbarcare due notti fa a Lampedusa i suoi 33 egiziani partiti dalle coste libiche, nella giornata di oggi dovrebbero sbarcare, a Salerno anche i 248 salvati dalla “Geobarents” di “Medici senza frontiere”, e, a Bari, i 261 raccolti dalla “Humanity 1” della ONG Humanity SOS.
E’ vero che il ministro Piantedosi, alquanto spiazzato lui stesso dalla decisione presa, per non parlare della Lega, ha spiegato che questo permesso è stato dato sia per la presenza sulle navi di minori e adulti con problemi che hanno bisogno di assistenza medica sia per le cattive condizioni del tempo … E ha aggiunto che occorre ripristinare dei decreti, come quelli di Salvini del 2018, smantellati dai governi successivi, che permettevano il blocco dei porti e il sequestro delle navi delle ONG (anche se ci sono ancora denunce in sospeso e processi in corso, per esempio proprio a carico di Matteo Salvini).
Però, intanto, è apprezzabile questo evento che rivela un cambiamento di rotta (è proprio il caso di dirlo) di questo governo sulla politica dell’accoglienza dei migranti. Un cambiamento di rotta che è all’insegna dello spirito umanitario, che sempre deve informare le azioni di un governo in uno Stato libero e democratico, ma anche di una saggezza politica che è quella che occorre in situazioni complesse, come questa del movimento di migranti.
Personalmente spero e mi auguro che questo sia il segnale che si cominciano a prendere in considerazioni due dati di fatto fondamentali:
Il problema delle migrazioni verso l’Europa non è un fatto che può gestire da sola l’Italia, né l’Italia e la Francia da sole, men che meno “l’una contro l’altra armate”! E’ un problema enorme, addirittura planetario, che va gestito da tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea, studiando, approfondendo bene le cause di queste migrazioni e trovandosi d’accordo sulla redistribuzione che, a mio avviso, non può essere su base volontaria (ieri la Germania ha accolto 164 migranti sbarcati in precedenza sulle nostre coste). No, la base di accoglienza volontaria non è neppure giusta. Se tutti i 27 Paesi dell’UE sono beneficiari di diversi fondi assegnati da Bruxelles, non si può ammettere che Ungheria, Polonia, Repubblica Slovacca, in primis, ma anche Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania,
Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, non accettino la redistribuzione dei migranti che arrivano in altri Paesi, oppure innalzino muri di filo spinato per difendere la propria “civiltà” da qualsivoglia contaminazione – dimenticando la storia, sia pure remota, degli spostamenti di masse di popolazioni che, transitando o fermandosi in dati luoghi, hanno concorso a far nascere gli “ungheresi”, gli slovacchi”, i “francesi”, gli “italiani” di oggi.
Adesso il Governo italiano, che sta auspicando un tavolo europeo per risolvere il problema delle migrazioni, deve capire che non può (mai più) stare accanto agli Orbàn di turno, bensì agire per convincere questi difensori dei loro presunti interessi nazionalistici, a farsi carico del problema generale e superare la paura (il terrore!?) di confrontarsi con persone certamente diverse per lingua, cultura, religione, ma sempre e comunque esseri umani che, se bene accolti, non possono che aiutare a far progredire il Paese ospitante.
Bisogna che il governo italiano, insieme con tutti i partner europei, smetta di fare distinzioni fra chi arriva, migrante, in Europa, cioè fra chi può aspirare allo status di rifugiato, perché fugge da Paesi in guerra o da persecuzioni di vario genere, e chi arriva per “motivi economici”, cioè “semplicemente” alla ricerca di un lavoro, di una possibilità di vita migliore per sé e la propria famiglia. Questa distinzione molto grezza, se mai è stata valida, di certo non lo è più adesso. Ora che sempre più spesso i “motivi economici” sono generati dal cambiamento climatico che colpisce, solo per fare un esempio, specialmente i Paesi africani con la siccità che amplia in continuazione le zone desertiche, impedendo la pratica dell’agricoltura e della pastorizia, come erano esercitate fino a qualche decennio fa. Ma ci sono anche motivazioni “politiche”, come l’acquisto di vasti territori da parte della Cina, proprio in Africa, che diventano “proprietà
privata di quello Stato straniero” e vengono strappate all’utilizzazione delle legittime popolazioni locali. Un vero scempio, a cui, per esempio l’UE, non reagisce, rifacendosela con le vittime di questo abuso.
Quindi, per tutti questi migranti è più giusto usare il termine di “profughi ambientali”, meritevoli di accoglienza, come quelli che scappano da regimi totalitari e teocratici (vedi Afghanistan) o da persecuzioni scatenate dai più diversi motivi.
E dunque – “tanta roba”, davvero tanta. Ci vogliono davvero menti lucide, nervi saldi, capacità di mediazione, coraggio civile e politico, il tutto illuminato da una forte capacità di immedesimazione nelle vicende dei poveri della Terra. Solo così si potrà trovare, sia pure gradualmente, qualche soluzione seria che faccia di ciascun Paese della UE un luogo accogliente. E’ proprio la civiltà europea, di cui ci piace gloriarci, che lo esige e vuole che si faccia presto.
Annapaola Laldi, consulente Aduc