La maggior parte degli oggetti che acquistiamo e usiamo sono “made in China”, anche per una convenienza del luogo di produzione che ha spinto diverse aziende “occidentali” a delocalizzare la produzione (così come anche in Paesi della stessa regione). E oggi possiamo fare acquisti, anche di qualità, che prima erano più costosi.
Il regime cinese, inoltre, detiene il 93% delle scorte mondiali di rame, il 74% di alluminio, il 68% di mais e il 51% di frumento.
Tra le altre cose, se dovesse andare in porto la recente decisione del Parlamento europeo di bandire le auto a combustione entro il 2035, occorre ricordare:
– le attuali produzioni “non-cinesi” di auto elettriche, sono nicchie costose e abbastanza esclusive. E al momento e in prospettiva, non si notano grandi cambiamenti (1);
– economicità e dominio del mercato di molti prodotti “made in China” si potrebbero estendere alle auto;
– la Cina, oltre a controllare la filiera delle terre rare (2) e i processi di raffinazione di litio, cobalto e nichel, produce oltre la metà degli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde.
In questo momento – crisi energetica e invasione russa dell’Ucraina – è in corso un allontanamento tra i regimi cosiddetti liberali e quelli autocratici. In questi ultimi, al momento, i nostri regimi “occidentali” fanno finta che non siano inclusi i fornitori arabi di petrolio. Per il gas russo, le cui forniture cominciano ad essere tagliate, l’evolversi della situazione è cronaca politica. Per il gas che arriva dal mar Caspio (Tap), nonostante la società offshore che lo gestisce, essendo su territorio di uno Stato non proprio liberale come l’Azerbaigian, non è detto che quest’ultimo non possa “soccombere” o “meglio adeguarsi” alla sua madre ispiratrice e tutelare, la Russia… che oggi fa quello che sappiamo.
La compressione dei prezzi e dei tassi di interesse di cui siano stati protagonisti negli ultimi trent’anni è frutto essenzialmente della globalizzazione, a cui hanno contribuito le centinaia di migliaia di lavoratori dall’est europeo e dalla Cina che hanno consentito di tenere bassi i salari e i costi dei prodotti esportati in Occidente. Questi lavoratori vanno esaurendosi e, al momento, non sembra verranno rimpiazzati da africani e orientali vari. La globalizzazione per certi versi continua ma a dimensioni diverse. L’inflazione ha raggiunto livelli alti.
La “derussizzazione” della nostra economia è solo agli inizi e il consumatore medio non ne sente ancora le conseguenze (3).
La “decinizzazione” non è un’ipotesi inesistente, visto che la Cina di Xi Jinping non passa giorno senza elogio di Putin, o che minacci di invadere Taiwan (4), o che continui nelle sue oppressioni politiche (Hong Kong) ed etnico/religiose (Uiguri), etc.
Cosa dovrebbe/potrebbe accadere nel momento in cui dovremmo avere a che fare con la “decinizzazione”? Al momento, visto lo stato dei fatti e delle prospettive a breve e lungo termine, per noi si prospettano economie molto grige.
Dopo il “laissez-faire” e il “laissez-passer” che abbiamo usato con la Russia di Cecenia, Georgia, Crimea, etc, abbiamo imparato che è meglio prevenire che combattere? Dove la posta in gioco, questa volta, è molto più alta?
1 – inclusa la “popolare” Tesla, che molto deve e fa nel mercato cinese.
2 – gruppo di 17 elementi chimici indispensabili
3 – sarà bene fare scorta di ottimismo da usare quando saremo sommersi dalla negatività…
4 – scatenando, nel caso, una pesante risposta Usa che non potrà non coinvolgerci.
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Fonte: Possiamo fare a meno della Cina?