“Posto ergo cogito?” n. 5, la web (dis)informazione nel e sul video di Solenghi: l’accusa di populismo imperversa tra i commenti

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Posto ergo cogito?
Posto ergo cogito?

Nella precedente puntata della nostra rubrica sulla disinformazione via web, Posto ergo cogito?, abbiamo continuato ad esaminare le reazioni che ha suscitato il video anti tedesco di Tullio Solenghi ci siamo focalizzati, a proposito dei commenti, finora oltre 1.800 tutti “consultabili” qui dove è anche visionabile il video (ad oggi oltre 54.000 visualizzazioni, ndr), sulle accuse di razzismo oppure di xenofobia..

Proseguendo in questa analisi (semi)seria dei commenti al video di Solenghi emerge, con un certo stupore da parte mia, l’accusa di populismo, anche questa abbastanza diffusa: «Un discorso superficiale, banale, anacronistico, scorretto storicamente e populista. Ha il nome di un imperatore Romano ed il cognome di un lanzichenecco (i lanzichenecchi erano mercenari tedeschi arruolati nelle legioni del Sacro Romano Impero, N.d.A.). Più imperialista di lui». Della superficialità e della scorrettezza storica abbiamo già detto, mentre il fatto che l’argomento sia anacronistico, cioè fuori dalla storia, potrebbe essere anche interessante da analizzare in seguito, come anche l’accusa di imperialismo, sulla quale avrei bisogno di rifletterci un po’ più a lungo.

Tuttavia è il populismo che ora vogliamo prendere in esame in  Posto ergo cogito?:sia in commenti di utenti tedeschi: «I identify as a European and making other countries responsible for what happens now is really cheap and a move of a populist» (Mi identifico come europeo e rendere gli altri paesi responsabili di ciò che accade ora è una mossa a buon mercato, tipica di un populista) sia in commenti di utenti italiani: «Il populismo è stupido, signore Solenghi, un uomo della sua dignità non ha bisogno di nulla del genere. Mi sarei aspettato più costruttività da un uomo delle sue dimensioni».

Tralasciando il rapporto tra dimensioni di un uomo e costruttività dei suoi discorsi, altrimenti saremmo costretti ad ammettere che tutti i giornalisti in sovrappeso possano dire cose davvero interessanti (a me viene in mente qualcuno, ma non mi pare sia stato così costruttivo nelle sue uscite negli ultimi anni, ma è solo un’opinione personale), da quest’ultimo commento mi sembra piuttosto chiaro che il populismo non goda di buona reputazione nel panorama del web.

Ora, un’analisi storica delle sfumature che il termine populismo può assumere nel linguaggio politico ci porterebbe molto lontano. Esiste su questo tema una bibliografia sterminata, che lo lega a posizioni di sinistra o a posizioni di destra, analizzandolo a partire dalle esperienze politiche russe per finire a quelle sudamericane, dove il populismo era quasi un titolo di merito (si pensi ad esempio alla figura estremamente popolare e populista di Evita Peron), e noi possiamo solo consigliare qualche illuminante lettura in merito, legata, non a caso, all’affermazione e alla crisi del cosiddetto “uomo medio”[1].

Bisogna ammettere che in Italia l’uso corrente di questo termine è alquanto recente e non è inficiato da una definita connotazione politica, come può essere per il contesto russo o latino-americano, o dall’uso di specifici strumenti istituzionali, come il plebiscito o le consultazioni popolari. Se da un lato si è parlato di populismo nel caso dell’ascesa di Silvio Berlusconi, dall’altro un forte ascendente sul popolo, al punto di essere tacciato di populismo, l’ha avuto Beppe Grillo con il Movimento 5 Stelle, che si è distinto soprattutto per la forte presenza sul web e, come strategia di interazione politica, tramite l’uso di piattaforme di delibera online.

Ciò che si rileva in Italia è, pertanto, un uso molto più spregiudicato del termine populismo, in voga soprattutto per una strategia mediatica di diffusione di contenuti tramite la televisione, in un primo momento, e, in un secondo momento, tramite il web, che ha il vantaggio di essere popolare nella misura in cui diventa virale ed esponenziale nel metodo di condivisione. Tali strumenti mediatici richiedono delle tecniche specifiche per impacchettare contenuti ad effetto: devono essere relativamente brevi, semplici nel linguaggio, tendenzialmente accusatori, empatici, ecc.

Questo tipo di diffusione capillare di un messaggio o di un video, associati ad un sentimento in cui ci si richiama ad una certa vicinanza ai valori del popolo contro chi, invece, cerca di soggiogarlo e ridurlo alla povertà, costituisce l’essenza di questa tipologia di populismo mediatico. Si tratta di un meccanismo pseudodemocratico, perché non prevede il contraddittorio, e dà l’illusione che il web, in particolare quel tipo di web che permette una minima interazione a distanza, qual è il social network, ad esempio, possa essere utilizzato come una tribuna politica democratica.

Il problema maggiore, tuttavia, in questo come in tante altre circostanze è che attraverso il web si scambia spesso la democrazia con il pourparler, con il mero diritto, sacrosanto, per carità, di esprimere un’opinione, ma la democrazia è anche dialettica, discussione pubblica con possibilità di contraddittorio; la democrazia poi è soprattutto delibera, è voto, partecipazione, come cantava Gaber, e, infine, è assunzione di responsabilità personale per le decisioni collettive che si prendono.

[1] M. Simeoni, Una democrazia morbosa. Vecchi e nuovi populismi, Carocci, Roma 2013.

Segue, qui tutte le puntate di Posto ergo cogito?

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