Una delle sfide più ardue di oggi è nella scelta della strategia di ripartizione di rischi e guadagni. Vincerla è fondamentale per la rimozione delle tante disuguaglianze sociali e la realizzazione della vera inclusione.
Questo ha a che fare, in fondo, anche con la capacità di puntare sull’innovazione per creare ricchezza.
Ci si chiede spesso se la ricchezza possa essere creata socialmente e quali siano gli strumenti per garantirne una distribuzione di giustizia ed equità, con il coinvolgimento di tutti.
È in questo il senso della ‘predistribuzione’.
Altro è, invece, la ‘redistribuzione’, che porta ad affrontare le disparità sociali mediante la ripartizione di quanto proveniente dal pagamento di tasse e tributi e relativo a bonus e contributi d’assistenza, come il reddito di cittadinanza.
Non si nega che un impegno da parte dello Stato per la rimozione delle iniquità ci sia stato e ci sia. Ma, se ancora è dato riscontrare povertà ed emarginazione, vuol dire che qualcosa non sta funzionando, o, semplicemente, che quello che si fa non basta.
Allora occorre cambiare approccio, visione. Occorre lavorare diversamente su ‘predistribuzione’ e ‘redistribuzione’.
In concreto, si potrebbe procedere in diversi modi.
Si potrebbe intervenire direttamente con un fondo patrimoniale pubblico, composto da tutti i rendimenti delle attività finanziate dello Stato e delle società partecipate pubbliche. Questo patrimonio potrebbe derivare anche da investimenti d’impegno collettivo, capaci di dare un contributo decisivo all’innovazione tecnologica e, direttamente o indirettamente, alla tutela delle risorse ambientali e alla valorizzazione dei beni comuni. In un circolo virtuoso continuo.
In questo, Meritocrazia fa la sua parte. Un paio d’anni fa è riuscita a riunire attorno a un tavolo comune di discussione tutte le principali sigle sindacali, dimostrando che favorire il dialogo è molto meno difficile di quello che sembra. Ed è molto più utile di quanto non si possa immaginare. Dinanzi all’apparente divergenza di vedute, sono emersi tantissimi punti di contatto, e soprattutto è emersa una grande disponibilità a collaborare per il bene condiviso.
Così, non è peregrino pensare (e anzi potrebbe essere davvero proficuo) di consentire ai dipendenti di lunga data di partecipare al capitale sociale, in modo da ottenere maggiori tutela e garanzie e agevolare la relazione tra parti di un medesimo lavoro produttivo, imprenditore e lavoratori.
Il Governo, a sua volta, potrebbe mantenere partecipazioni azionarie in società che hanno beneficiato di investimenti pubblici. Torna alla memoria la vicenda Tesla, che beneficiò di un prestito di 465 milioni di dollari; era stato pattuito che al governo statunitense sarebbero spettati 3 milioni in azioni in caso di mancata restituzione dell’intero importo.
Dei modi per realizzare una predistribuzione e una redistribuzione della ricchezza esistono. E dunque esistono dei modi anche per soddisfare l’ambizione di creare una società equa. Basta non fare affidamento su logiche di mero sussidio, aggravando la spesa pubblica senza prospettiva.
Sono in tanti ad aver bisogno di supporto, per ragioni d’età o particolari difficoltà individuali. Ma sono pure tantissimi coloro che potrebbero avere altre prospettive, che potrebbero essere coinvolti attivamente nella vita lavorativa della comunità e che vorrebbero poter riconquistare la speranza di soddisfare le proprie aspirazioni. Politiche non realmente inclusive, che non favoriscono la partecipazione rappresentano il primo ostacolo al ripristino degli equilibri e alla marginalizzazione del divario economico e sociale.
«Se volete un futuro migliore, un futuro in cui ci sia benessere condiviso universalmente, con servizi pubblici eccellenti, soluzioni per la crisi climatica, dovete necessariamente leggere il libro del vostro quotidiano, perché ciò che si può fare nel quotidiano è molto più importante di ciò che ci si può attendere dal fato o dal destino» (the Guardian).
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