Il Governo ha trovato l’intesa sul Ddl costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio: il premierato. Sono state ore intense e di consultazioni per l’esecutivo che, in nottata, ha ricevuto il via libera di Giorgia Meloni, da Tokyo.
L’ultimo tassello del puzzle sembra essere stata la modifica apportata dalla ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati, del testo dell’articolo 4 e grazie alla la quale il premier eletto avrà il potere di chiedere lo scioglimento delle Camere non solo in caso di mozione motivata di sfiducia, ma anche quando dovessero mancare i numeri sulla questione di fiducia posta dal governo su un singolo provvedimento.
Un’accorgimento, che rafforza dunque la “norma anti ribaltone“: nel caso il premier eletto cada a seguito di una mozione di sfiducia motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere, senza interlocuzione. “Non ci sarà più spazio per giochi di palazzo e ribaltoni. Garantiremo la certezza del voto”, ha detto la Casellati. Pioggia di critiche e di emendamenti dalle opposizioni. Ma non solo.
Il Corriere della Sera di oggi in edicola ha raccolto il parere di Giuliano Urbani, 87 anni, politico e politologo, ex ministro di Berlusconi e uno dei fondatori di Forza Italia. Convinto che sia necessaria una riforma che dia stabilità ai Governi, considera “effimera” la manovra per il premierato.
“La proposta al momento non è che uno scheletro, una formula grezza che non credo abbia futuro, non in questa forma“, ha risposto a Roberto Gressi. “La riforma dello Stato è un tema importantissimo e delicato, da maneggiare con cura. Scelte come questa, per funzionare, devono essere condivise. Non dico necessariamente in ogni dettaglio, né tantomeno che si debba cedere a ricatti che impediscono di fare qualsiasi cosa. Ma lo spirito deve essere comune. Altrimenti vengono magari approvate da una maggioranza, cosa anche questa non facile, ma poi alla fine non reggono alla prova dei fatti, non funzionano».
E allora? Si rinuncia? “Il punto non è questo. Abbiamo una realtà politica complessa, solo apparentemente bipolare. Maggioranza e opposizioni hanno idee diverse anche al loro interno. Glielo dico io che saggiai, per esempio, proprio su questi temi, le differenze tra dalemiani e veltroniani. E anche oggi vedo che, su tante questioni, il Pd non è poi così allineato sulle posizioni di Elly Schlein. Sono scettico sui risultati perché manca e non si ricerca un’idea di Polis. I greci litigavano su tutto, ma sulle questioni fondamentali si univano. O se preferisce servirebbe il right or wrong my country, giusto o sbagliato è il mio Paese, caro alla tradizione americana. Se non ci si parla si parte male. E anche se si arriva da qualche parte con una prova di forza, poi la riforma va attuata: è lì che si inciampa“.
Fonte Il Corriere della Sera