Sono anni che il nostro Paese è soggetto ad un continuo e ormai drammatico arretramento dello stato sociale accompagnato da evidenti diseguaglianze prodotte dal ciclo neoliberista che hanno sfruttato il lavoro sempre più dipendente dallo sviluppo tecnologico insieme ad una incontrollabile finanziarizzazione dell’economia.
Troppe volte è stato annunciato l’obiettivo di rimettere il lavoro al centro aumentando i suoi diritti e il suo potere sviluppando l’economia reale e riducendo le diseguaglianze del mercato tramite una reale redistribuzione della ricchezza.
Da anni la Politica e i cosiddetti corpi intermedi dimostrano l’incapacità di svolgere il loro ruolo troppo spesso condizionato da convenienze e opportunismi individuali. Troppi sono stati e sono ancora gli improvvisatori che scalpitano, parlando secondo le regole del marketing e dell’intrattenimento, ma che sanno esercitare solo istantanee seduzioni.
Basta leggere le prime pagine dei quotidiani per avere la sintesi dell’attuale drammatica situazione sociale a partire dall’ economia per finire all’arte del buon governo dei nostri governanti.
La crisi non ha insegnato nulla: la speculazione continua ad occupare la scena con un processo di decostituzionalizzazione del sistema politico italiano.
Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite sono un dato di fatto: i costi vengono fatti pagare per intero a lavoratori e ceti più deboli, falcidiando i sistemi di welfare e di tutela ambientale, a cominciare dallo smantellamento del modello sociale con l’indebolimento dei precari aiuti allo sviluppo e conseguente aumento di disoccupati e lavoratori poveri.
La rassegnazione individuale ha sostituito la protesta collettiva e certe organizzazioni propongono ancora la “festa del lavoro” dimenticando il ricordo delle lotte dei lavoratori per la riduzione della giornata lavorativa… apparendo sempre di più come strutture conservatrici di privilegi dei loro funzionari in forte difficoltà a rappresentare adeguatamente il lavoro dei nostri tempi e le prospettive future.
“Lavorare meno per lavorare tutti“ era lo slogan sbagliato solo nel tempo in cui era stato proposto e dimenticato per la necessità di un presente nel quale il lavoro è diventato una discriminante sociale regolato da “riforme” che nel nome della flessibilità sono giunte al paradosso che un’ora di lavoro precario costa meno di un’ora di lavoro stabile. Dove manca l’introduzione di un salario minimo dignitoso determinato da contratti nazionali di riferimento.
Dove sono a dir poco insufficienti le azioni per la riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d’impresa con il recupero delle risorse con il contrasto all’evasione e l’innalzamento delle tasse sulle rendite e grandi patrimoni.
E c’è ancora chi vuol festeggiare un rituale fuori dal tempo.