Processo d’appello BPVi, Zonin e Giustini ricorrono in Cassazione: le valutazioni dell’avv. prof. Rodolfo Bettiol

3281
BPVi, avv. prof. Tullio Padovani nel processo d'appello BPVi
Avv. prof. Tullio Padovani nel processo d'appello BPVi

Ricorre la difesa di Zonin avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 10 ottobre 2022 che condanna lo stesso alla pena di anni tre e mesi 11 di reclusione per i reati di aggiotaggio e di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza (leggi notizie e commenti su Ricorso in Cassazione processo BPVi e vedi in fondo*).

Quale primo motivo i difensori (prof. avv. Tullio Padovani e prof. avv. Enrico Ambrosetti) censurano il mancato accoglimento dell’eccezione di incompetenza del Tribunale di Vicenza già formulata in prime cure.

Osservano i difensori come nell’aprile del 2012 fosse stata inviata la comunicazione ICAAP presso la sede della Banca d’Italia, prima, cioè, dell’ispezione in sede presso la Banca Popolare di Vicenza (BPVi).

È innegabile per i difensori che in una lettura sostanzialistica dell’oggetto della contestazione l’invio della predetta ICAAP costituisce il primo segmento della complessiva condotta volta ad ostacolare le funzioni di vigilanza della Banca d’Italia mediante l’occultamento della prassi di finanziamenti finalizzati all’acquisto di azioni BPVi.

In ogni caso, anche ritenendo che nel capo di imputazione (sub 1) relativo all’ostacolo alle funzioni di vigilanza sia stato escluso l’invio della comunicazione ICAAP, deve ritenersi che il Giudice dell’udienza preliminare ne avrebbe dovuto tenere conto ai fini della determinazione della competenza territoriale per rispetto del principio della precostituzione per legge del giudice.

Gli argomenti sono suggestivi. Ad avviso di chi scrive, peraltro, non sono condivisibili. L’invio della comunicazione ICAAP pure agli atti non risulta in alcun modo contestato.

In carenza di  contestazione il GUP non avrebbe potuto dichiarare la competenza del Tribunale di Vicenza. L’invio della comunicazione ICAAP avrebbe potuto integrare una autonoma figura criminosa, senza, peraltro, che possa configurarsi in capo al giudicante la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare alla contestazione della autonoma fattispecie criminosa connessa che in questo caso potrebbe essere oggetto di separato addebito.

Quale secondo motivo di ricorso si censura la ricostruzione in merito all’entità del fenomeno del capitale finanziato.

Stante l’enorme importo e la sua diffusività lo stesso non poteva essere ignorato dal presidente Zonin. Se ne contesta, pertanto, la ricostruzione, dovuta ad una erronea motivazione che emerge dalla sentenza della Corte d’Appello di Venezia per il processo BPVi.

Richiamando la consulenza del consulente di parte, il prof. Paolo Gualtieri, per i difensori occorre distinguere la diversità del finanziamento per l’acquisto di azioni di nuova emissione, per effetto del quale il capitale sottoscritto non è “fully paid” (interamente versato), da quella del finanziamento per l’acquisto effettuato nel mercato secondario nell’ambito di scambi tra clienti, ove il controvalore dell’azione è interamente versato alla transazione e svolge quindi funzione di proteggere i dipendenti e gli altri creditori in caso di liquidazione della banca. Nel primo caso la deduzione dei fondi propri discende dalla circostanza che la banca assume un rischio su sé stessa perché il capitale sottoscritto non è versato. Nel secondo caso, invece, essendo la porzione di capitale sociale oggetto di trasferimento regolarmente versato il rischio sulle azioni può dirsi a carico della banca soltanto nel caso il cui il debitore non sia in grado di far fronte al rimborso se non con la vendita delle azioni o perché esistono pattuizioni che trasferiscono il rischio sulla banca. In assenza di questi elementi, invece, non occorre operare alcuna deduzione dei fondi propri (ex patrimonio di vigilanza n.d.r.).

Si censura la sentenza nel processo BPVi della Corte d’Appello per la quale il finanziamento di acquisto sul mercato secondario non richieda di verificare se il creditore abbia un adeguato merito creditizio che gli consente di far fronte al rimborso del prestito, perché ai fini dell’obbligo di deduzione dei fondi propri è sufficiente che l’acquisto sia stato finanziato dalla banca.

Tanto risulterebbe dalla circolare 263/206 della Banca d’Italia. Per i ricorrenti l’interpretazione è capziosa con riferimento ai principi dell’ermeneutica giuridica.

È da osservare, tuttavia, ad avviso di chi scrive, che se l’interpretazione data nel ricorso fosse corretta si potrebbe arrivare alla formazione di fondi propri (patrimonio di vigilanza) interamente con il finanziamento operato dalla banca.

I ricorrenti lamentano poi che l’ammontare del capitale finanziato sia stato determinato sulla base del principio della contestualità tra finanziamento e acquisto azioni, e non sul criterio teleologico dello stesso. La considerazione non appare rilevante sia sotto un profilo normativo che sotto un profilo fattuale.

La contestualità è, altresì, prova del nesso teleologico.

Ulteriore motivo di gravame riguarda l’affermazione di responsabilità di Zonin a titolo di concorso nei reati contestati. La sentenza avrebbe violato quanto disposto dagli articoli 192 co. 2 e 3 e 194 co. 3 cpp e sarebbe, comunque, viziata dalla mancanza di contraddittorietà e manifesta illogica della motivazione.

Dà atto il ricorso che la Corte d’Appello ha fatto proprie le risultanze del Tribunale, ma rileva come in realtà ci si trovi di fronte ad una doppia conforme del tutto anomala. Infatti, nel mentre il Tribunale aveva ritenuto il concorso tra tutti gli imputati per la minuziosa ed accurata pianificazione posta in essere in comune, a fondamento principale dell’affermazione di responsabilità di Zonin la Corte ravvisa lo stretto rapporto intrattenuto tra Zonin ed il direttore generale Sorato pacificamente artefice delle operazioni illecite.

L’adesione della Corte alle risultanze della sentenza del Tribunale di primo grado è per i ricorrenti acritica, e, comunque, il mutamento di prospettiva dato dal privilegiare il rapporto Zonin – Sorato si traduce in un vizio logico.

Per i ricorrenti difensori la prova dell’accordo criminale tra Zonin e Sorato ha una motivazione mancante o comunque manifestamente illogica. Dalla pluralità dei rapporti, del resto fisiologici, con Sorato non è dato desumere un accordo criminoso.

Non è dato secondo il ricorso neppure trovare un riscontro nelle dichiarazioni intercettate dallo stesso Sorato secondo il quale Zonin era a conoscenza di tutto.

Dai fisiologici rapporti tra il Presidente e il Direttore Generale non sarebbe dato insinuare un rapporto criminoso.

Non valgono ai fini della responsabilità le dichiarazioni dell’ispettore Gatti circa l’ammissione di Zonin di essere a conoscenza di poche operazioni correlate, né quelle di Giustini che afferma di avere sentito da Zonin di essere consapevole di alcune operazioni di tal genere. L’affermazione della responsabilità di Zonin può affermarsi solo con la prova, a dire dei difensori mancante, della consapevolezza della complessiva entità del fenomeno e del disposto occultamento dello stesso mediante l’omissione di iscrivere a riserva ai sensi dell’art. 2358 c.c. l’entità dei finanziamenti.

Il ricorso censura poi per illogicità e mancanza di motivazione il preteso ruolo di protagonista di Zonin nella gestione della banca.

Si tratta in sostanza di valutazioni non fondate su fatti, ma di voci ricorrenti nel pubblico non certamente utilizzabili nel processo penale, che non possono certamente porsi a dare rilievo dimostrativo della fondatezza dell’ipotesi di accusa.

Mancano, in definitiva, indizi certi per affermare tale protagonismo che costituisce un fondamento dell’accoglimento dell’ipotesi accusatoria. In conclusione del ricorso si definiscono frattaglie probatorie altri elementi indiziari che secondo il ricorso non possono avere valore di prove avendo la caratteristica dell’assoluta neutralità dei fatti.

Vi sarebbe un paralogismo nella sentenza perché gli elementi richiamati in senso favorevole dell’accusa muovono dall’assunto, dalla petizione di principio che Zonin sia compartecipe o quanto meno consapevole dell’operatività illecita. Notevole è lo sforzo difensivo dei difensori, ma, ad avviso di chi scrive, difficilmente avrà successo.

In particolare, non sembra che rilevi la forma ritenuta dalla Corte del concorso nei reati – ideazione esclusiva tra Zonin e Sorato – e la successiva partecipazione degli altri imputati. Il concorso resta. Non tutti gli elementi a carico, in verità, appaiono risolutivi, ma pur sempre costituiscono motivo di riscontro alla chiamata in correità di Sorato, che trova pur sempre un ulteriore riscontro nelle dichiarazioni di Giustini circa la consapevolezza di Zonin delle operazioni correlate (le cosiddette baciate).

A proposito di Giustini ve segnalato come nel proprio ricorso avverso la sentenza del Processo d’appello BPVi lo stesso non contesti alcuno dei reati addebitati ma lamenti che nella determinazione della pena base non si sia tenuto conto della confessione e delle dichiarazioni etero-accusatorie che pure gli hanno valso la concessione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.


Qui è possibile scaricare ii dispositivo sintetico della sentenza del Processo d’appello BPVi, qui è pubblicato il primo commento dell’avv. prof. Rodolfo Bettiol, sulla sentenza con motivazioni, mentre è pubblicato su Bankinveneto.it il suo testo completo nella sezione Premium, dove a breve renderemo disponibile anche  il ricorso della Procura generale di Venezia.

Qui sono state resocontate tutte le udienze di appello su ViPiu.it, mentre al nostro libro “Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo” seguirà a breve il libro/documento sul secondo grado del Processo BPVi, sulla storia sintetica del fallimento delle due banche popolari venete, su quella degli indennizzi ancora non completati sia pure per il solo 30% di quanto perso e con un limite di 100.000 euro e su documenti delicati ma mai utilizzati dalle autorità competenti.