Dopo che un principe del foro, l’avvocato penalista Oreste Dominioni, professore ordinario di Diritto processuale penale presso la Facoltà di Giurisprudenza della Università Statale di Milano, aveva dato giovedì scorso, 28 gennaio, in occasione della sua arringa in difesa di Emanuele Giustini una lezione di diritto ai pm Salvadori e Pipeschi che per il suo assistito avevano chiesto una condanna a ben otto anni e sei mesi al collegio (De Stefano, Garbo e Amedoro), oggi è toccato all’avv. Vittorio Manes, difensore di Massimilano Pellegrini, su cui incombe una richiesta di condanna a otto anni e due mesi, parlare dalla cattedra visto che è anche lui è Professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Bologna (Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’economia).
Non entriamo nel complesso merito delle singole contestazioni al teorema accusatorio dell’accusa ma le argomentazioni di Manes, sulla necessità di “provare” le accuse specifiche oltre ogni ragionevole dubbio, hanno seguito il solco tracciato dal prof. Dominioni alle cui affermazioni il cattedratico bolognese ha pure spesso attinto.
In buona sostanza, pensando che ascoltare Manes non solo ha fatto “bene” a chi umilmente prova a fare per voi una difficile cronaca giudiziaria, per la quale preferiamo rimandarvi al video integrale qui pubblicato, ma anche agli altri togati presenti, che fossero dell’accusa, delle altre difese, delle parti civili (poche come sempre) e, soprattutto, al collegio che dovrà giudicare, noi dall’arringa abbiamo percepito
- il suo appunto in premessa a un processo definito come in buona parte mediatico (anche se di colleghi in aula se ne sono sempre visti ben pochi, capiamo il senso delle dichiarazioni di Manes sul come sia stata impostato l’impianto accusatorio che ha assolto in partenza altri possibili e ben più “potenti” destinatari delle accuse concentrandole su un manipolo non proprio sempre “qualificato” a meritarsele al 100%)
- le sue forti obiezioni a testimoni interessati a difendere il proprio mancato coinvolgimento nel processo, e quindi non totalmente affidabili
- il vulnus arrecato al dibattimento dall’assenza di Samuele Sorato, che, con un suo inevitabile confronto con Gianni Zonin, avrebbe chiarito molti punti sul ruolo dei registi veri dei fatti imputati anche a Pellegrini
- il ruolo assente o fin troppo tranquillizzante dei “controllori”, esterni, come Banca d’Italia, o interni, come il collegio sindacale, l’audit, il comitato rischi…, che, dalla ricostruzione, ci viene da commentare come ineccepibile, di Manes mai hanno messo in guardia quelle che, in fondo, pur essendo additate come i responsabili del crac della BPVi appaiono solo delle seconde linee…
- l’assenza, in definitiva, di vere prove contro Pellegrini, nelle cui sedici agende sequestrate così come in intercettazini e quant’altro nulla è stato trovato di compromettente per lui… “segregato da certe informazioni”
A meno che, ha detto Manes al collegio, non si voglia condurre un processo penale, da basare esclusivamente su prove di responsabilità fattuali specifiche di ognuno degli imputati, sull’assunto del tutto ipotetico che “siccome tutti sapevano, ad esempio delle baciate e dei loro effetti sul patrimonio di vigilanza, da cui non sonostamte detratte, allora Pellegrini non poteva non sapere…“.
Non un girane assunto per la verità per condannare, ha detto Manes, “un uomo e un professionista delle caratteristiche e dello spessore di Pellegrini, confermato nel suo ruolo, per le sue indubbie capacità e per il suo rispetto delle regole, anche dopo l’estromissione di Sorato e Zonin e, addirittura, dopo il suo iniziale coinvolgimento nelle indagini…“.
E domani, 5 febbraio (e poi il 6 e il 9) toccherà ad un altro professore montare in cattedra: l’avv. prof. Enrico Ambrosetti difensore di Gianni Zonin… anche se, per lo meno, questo non è un pesce piccolo in un acquario accusatorio in cui non hanno trovato spazio alcuni squali.
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