Due esperti componenti del Consiglio di amministrazione della ex Banca Popolare di Vicenza, Giorgio Colutta e Alvise Rossi Di Schio, hanno deposto il 2 luglio 2020 come testimoni della difesa al processo Bpvi in tribunale a Vicenza. E alcuni “passaggi a vuoto” nelle loro ricostruzioni hanno lasciato diverse perplessità sulle responsabilità anche dei consiglieri di amministrazione nel crollo della Popolare, nessuno dei quali, a parte il presidente Gianni Zonin e Giuseppe Zigliotto, è imputato nel processo.
Colutta, farmacista e imprenditore vitivinicolo, è stato presidente di Confagricoltura Udine e nel 1997 incontrò Zonin che lo coinvolse in Banca Nuova con la finanziaria Farma Nuova, per poi essere nominato presidente di Farbanca, acquisita da Bpvi nel 2007. In seguito alla richiesta di Bankitalia di avvicendare alcuni componenti del cda Bpvi venne scelto come suo consigliere e restò nella Popolare berica dal 2014 fino a giugno 2016. Poi quandò arrivò la sanzione di 100mila euro da Consob e l’inizio del crollo, Colutta rassegnò le dimissioni al nuovo presidente Bpvi Mion nel giugno 2017.
“Ho sempre acquistato azioni di tasca mia – ha spiegato all’avvocato Ambrosetti della difesa Zonin che l’ha chiamato a testimoniare – sottoscrissi tutti gli aumenti di capitale fino al 2016 per sostenere la banca, se avessi saputo che era in default non li avrei sottoscritti“.
“Prima della data spartiacque del maggio 2015 – continua – le azioni erano viste come elemento di sicurezza, la banca era ritenuta solida, Sorato e Zonin ci parlavano in cda delle aggregazioni con Banca Etruria o Carife, la mia percezione era di una banca in salute”.
“Come consiglieri – aggiunge – non avevamo accesso alle informazioni sulle baciate, non si sapeva da chi erano firmate le lettere sul finanziamento acquisto azioni e sui fondi, insomma chi era il colpevole. E non ci fu nemmeno una discussione in cda sulle dimissioni di Sorato, il presidente Zonin ci riferì che si sarebbe provveduto alla rescissione del rapporto”.
Colutta, però, faceva parte del Comitato esecutivo e incalzato dall’avvocato di parte civile Paolo Ciccotto ha ammesso di aver visto le schede di sintesi Pef (Piano Economico Finanziario) dei soci, dalle quali risultavano le azioni acquistate e i rinnovi: “il cda aveva tutti gli strumenti per capire la situazione, una pratica che andava avanti da lungo tempo“, fa notare Ciccotto.
L’avv. Miucci della difesa Giustini poi gli ha fatto tornare alla mente un suo intervento nel cda datato 28 ottobre 2014 per dissuaderlo dall’intenzione di intentare una causa giudiziaria per l’articolo su Il Sole 24 Ore di Claudio Gatti nel quale era riportata una delle prime operazioni baciate parziali di un imprenditore. Con la copia dell’articolo sotto gli occhi Colutta ha confermato tutto.
Prima della “partita” al processo BPVi con Alvise Rossi Di Schio c’è spazio anche per l’infortunio della giudice Deborah De Stefano che dopo tre ore seduta sullo scranno più alto dell’aula, cambiata per l’occasione rispetto alla solita per motivi logistici, ha accusato un crampo alla gamba e ha interrotto l’udienza per ritirarsi… negli “spogliatoi” a fare un po’ di stretching.
L’ex consigliere Di Schio al suo arrivo in tribunale è stato ”accolto” nei corridoi da Zonin, con il quale ha colloquiato per alcuni minuti per poi ricordare, durante la sua testimonianza, i rapporti personali di lunga data con l’ex presidente ma soprattutto con Marino Breganze, datati 1961: “abbiamo fatto il liceo insieme“.
Di Schio ha fatto parte del cda di Banca Nuova per una quindicina d’anni, banca siciliana sotto controllo Bpvi con Breganze poi divenuto presidente nel 2016, e ha una lunga esperienza nelle altre consociate a partire dal 1997 nelle Popolari di Trieste e Udine. È stato meno di un anno nel cda Bpvi ma proprio negli anni “caldi” tra il 2014 e 2015 come consigliere indipendente che non ha mai fatto parte del comitato esecutivo.
“Discutevamo in cda – aggiunge – dei grossi fidi a imprenditori presentati come soggetti regolari e danarosi, meritevoli di finanziamento. Veniva comunicato anche quante azioni possedevano, ma non era mai segnalato che erano state acquistate con finanziamenti della banca. Poi sono comparse le notizie sulla stampa. Ho sentito parlare di baciate nel maggio 2015 dopo la mia uscita dal cda”.
Durante le domande di Ambrosetti è intervenuta la presidente del Collegio giudicante De Stefano chiedendo se era nota la causale per questa tipologia di grossi finanziamenti: “il cda si chiedeva per quali investimenti servivano agli imprenditori?“. Di Schio è apparso subito in difficoltà, gettando più volte lo sguardo nervosamente verso Ambrosetti e Zonin, e infine rispondendo in modo titubante senza specificare i motivi per i quali venivano concessi i fidi.
Conclusione della seduta del processo BPVi nel pomeriggio con la testimonianza dell’imprenditore Nicola Franceschi di Carrè, chiamato dalla difesa Zigliotto, che ha spiegato i legami finanziari della sua Ares, di cui era socio storico al 50% con Zuccato, all’epoca presidente di Confindustria, con la Zeta dei fratelli Zigliotto che ha venduto le azioni Bpvi prima del crollo.
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