Una dettagliata critica sul metodo usato nella perizia tecnica effettuata dai consulenti dei pubblici ministeri ha creato scompiglio al processo Banca Popolare di Vicenza. Protagonista dell’udienza del 22 settembre è stato il professor Andrea Perini, consulente tecnico chiamato dalla difesa Giustini e docente di diritto penale all’Università Torino che da 20 anni effettua perizie nei tribunali.
Al termine della sua esposizione, la relazione presentata nell’aula giudiziaria di Borgo Berga è stata contestata in modo deciso dal pm Gianni Pipeschi, con l’accusa di aver inserito “valutazioni critiche che non sono un compito che spetta al consulente“, portando la Procura ad opporsi all’acquisizione di alcune parti. Una protesta a cui si è associata la difesa di Banca d’Italia, parte civile nel processo, la quale accusa tramite l’avvocato Stefania Ceci: “sembra la memoria difensiva di Giustini“. Alla fine la presidente del collegio giudicante Deborah De Stefano ammette tutti i dati acquisiti nel dibattimento, con riserva di valutarli meglio in seguito.
Il nocciolo dello scontro riguarda soprattutto la critica al criterio cronologico dei finanziamenti baciati: “il criterio temporale non è stato ritenuto dirimente“, afferma Perini portando un esempio pratico di quattro anni di distanza tra un finanziamento nel 2010 e l’acquisto di azioni nel 2014. Il professore sottolinea anche l’atto coordinato che risulta dalle circolari: “non credo che il legame sia solo oggettivo, il metodo era ti finanzio affinché tu compri, una strumentalità che credo dovesse essere condivisa tra investitore e banca”.
Vengono spiegate nella perizia anche le attività che non erano di competenza della divisione mercati, che faceva capo a Giustini, e gestite da luglio 2014 dall’ufficio integrazione rischi: compliance e antiriciclaggio, monitoraggio sulle azioni e sulla violazioni delle norme, bilanci, comunicazioni con esperti e comunicati stampa, ai soci e al pubblico in vista delle assemblee, segnalazioni alla vigilanza, Bankitalia e Bce. A supporto di questo viene mostrato uno scambio di mail con Bankitalia nel 2013 sullo sforamento della quota di azioni proprie.
Sull’aumento di capitale del 2013 il professore fa notare che il cda della Bpvi all’unanimità deliberava di conferire delega al dg Samuele Sorato, ma non a Giustini e alla divisione mercati, mentre le lettere d’impegno dovevano essere firmate dal dg Sorato, ma come riportato dalla mail mostrata in aula per le lettere “standard” ai soci Favrin e Bufacchi, venivano rimandate indietro per farle firmare a Giustini. “È importante anche la differenza tra lettere vincolanti o meno – spiega Perini – le lettere di Giustini sono 16, tra cui 6 vincolanti“.
Quindi si passa al tema degli storni: “un terzo non sono relativi ad operazioni baciate, un dato non trascurabile“. E viene fatta un’analisi sull’ispezione di Bankitalia nel 2012, quando vengono trovati 125 milioni di operazioni ritenute finanziate: “un importo significativo, all’epoca i funzionari ispettivi hanno avuto sotto gli occhi il 50% del capitale finanziato“, afferma Perini.
Nelle precisazioni finali chieste dal pm Luigi Salvadori il consulente tecnico spiega il perché dell’utilizzo delle baciate: “da una parte per aumentare fittiziamente il patrimonio di vigilanza, dall’altro per svuotare il fondo acquisto azioni proprie in modo da avere una liquidità dell’azione che non era quella effettiva”.
E per chiarire conclude citando un passaggio esternato da Zonin durante un cda: “se non si acquistano più azioni, perde valore la banca“.
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