Processo BPVi, il prof. Domenichelli: “cda non doveva interferire con dirigenza, Zonin si occupava di cultura e allontanò Sorato per i fondi Lussemburgo”

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Domenichelli con Zonin prima del processo
Domenichelli con Zonin prima del processo

Vittorio Domenichelli, chiamato dalle difese Zonin e Zigliotto a testimoniare all’udienza di oggi 16 luglio nel processo BPVi, poteva avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto è indagato in procedimenti connessi, ma ha comunicato alla presidente di voler parlare. E lo ha fatto per quasi sette ore filate, messo sotto torchio al mattino dagli avvocati presenti e nel pomeriggio dal pubblico ministero Salvadori.

Dal 2009 fino al 2016 il prof. Domenichelli è stato componente del Consiglio d’amministrazione della BPVi, lui che è avvocato ed è stato professore di diritto per 40 anni all’Università di Padova: “Zonin mi propose la carica – spiega seduto nell’aula di Borgo Berga -, conoscevo soprattutto l’amico Marino Breganze in quanto anche collega all’Università”.

“Il rapporto con gli altri consiglieri fu subito molto cordiale – ricorda l’accademico di diritto amministrativo, quindi esperto di quanto oggi si parlava e di quanto competesse al cda della banca-, il clima della banca era sereno e attento alle regole: all’epoca l’ad era Gronchi e anche con tutto il management il rapporto era cordiale, ma fin dall’inizio capii subito che tra l’apparato dirigenziale e il cda non dovevano esserci interferenze, sulla gestione della banca non avevamo diritto di interferire, fu molto chiaro fin dall’inizio”.

“In banca venivano a parlare personalità importanti – aggiunge -. Ad esempio una volta venne Prodi: il ruolo di Zonin era molto focalizzato sulle relazioni esterne. Il presidente sui fatti di gestione della banca non parlava mai col cda, si occupava di cultura, della gestione se ne doveva occupare la struttura mi dissero“. E ricorda anche una lettera che scrisse a Zonin: “era per una intervista folle del nuovo dg Iorio ai giornali, aveva rappresentato una situazione come fallimentare che solo lui poteva salvare“.

Domenichelli faceva parte dal 2011 anche del comitato controllo, poi diventato comitato rischi, del quale è diventato presidente dal 2013: “si riuniva ogni 15 giorni, sempre prima del cda. Dopo l’ispezione di Banca d’Italia nel 2012 ricevetti i complimenti da Scardone per i controlli all’interno della banca. E negli anni 2013-2014 siamo stati rassicurati sulla vendita di azioni: chi vendeva trovava sempre chi voleva comprarle, c’erano centinaia di soci che vendevano e compravano”.

Ma a questo punto è intervenuta la giudice De Stefano con un secco: “risulta il contrario“.

“Nell’aprile 2014 – continua Domenichelli – la Bce aveva bloccato il fondo riacquisto azioni per una certa percentuale di importo, il fondo ci veniva presentato a fine anno come ricostituito, liquido. Fino al 2014 non ci fu mai preoccupazione su questo tema, avevo chiesto nel cda che ci fosse un rispetto dell’ordine cronologico nel riacquisto di azioni del fondo, ma si posero delle deroghe per diverse esigenze, sanitarie o famigliari”.

“Nessuno ha mai sollevato – aggiunge – il problema dell’impatto sul patrimonio della banca dei 200 milioni del fondo riacquisto e dei 54 milioni dei fondi lussemburghesi. Se il dirigente preposto, Pellegrini, dice al cda e in risposta a Bankitalia che le operazioni erano compensate, il cda confidava sui suoi dirigenti”.

C’è spazio su questo tematica anche per uno scontro in aula tra la giudice De Stefano e l’avvocato di Zonin Ambrosetti che l’ha accusata di essere “parziale e tendenziosa” nella sua richiesta di precisazioni.

“Non ho mai sentito parlare nelle riunioni del cda – puntualizza Domenichelli – dei termini baciate, correlate o del tema del capitale finanziato; la prima volta fu ad aprile 2015 quando ad ispezione Bce in corso la banca era stata praticamente commissariata. Per le baciate fu un fulmine ciel sereno“.

Domenichelli in aula

Quindi il capitolo Sorato: “fu allontanato per i sospetti esposti dall’ispettore capo Bce Emanuele Gatti a Zonin anche sui fondi lussemburghesi, venne invitato ad andarsene. Ho incontrato Zonin in banca e mi disse che Gatti pretendeva una discontinuità e chiese prudenza per l’immagine e reputazione della banca: io chiesi al presidente solo se c’erano elementi probatori. In una riunione successiva mi risposero tutti di no, ma Gatti era stato perentorio. Zonin mi sembrava lo allontanasse a malincuore, aveva molta stima di Sorato“.

“Sulle partecipazioni in fondi di investimento lussemburghesi come consiglio di controllo non abbiamo ritenuto di approfondire – precisa Domenichelli -; la banca aveva bisogno di redditività, non so se Piazzetta sia stato convocato sul tema, erano organizzati da Bozeglav. Bozeglav aveva molto da farsi perdonare, nelle sue relazioni che duravano ore mai una volta ha fatto cenno al capitale finanziato”.

“Chi aveva firmato le lettere di riacquisto azioni – aggiunge in merito al problema – era un irresponsabile e la riprofilatura era una fonte di rischio per la banca sotto il profilo di sanzioni della Consob. Gli ispettori Bce fecero rilievi soprattutto perché non è stato presidiato efficacemente il valore delle azioni, poi ci diedero indicazioni su ricapitalizzazione, aumento del capitale sociale e quotazione in Borsa”.

Non sono mancati molteplici momenti di impasse nella lunga deposizione di Domenichelli, tra audio del cda fatti riascoltare e documenti originali sottosposti al teste: come una nota ufficiale dell’audit nel quale il cda critica l’operato dell’ex vicedirettore generale Paolo Marin, che differisce però da un’altra bozza sulle delibere in merito ai finanziamenti baciati.

Bozeglav nella sua deposizione (qui video e nostro servizio) disse che fu chiesto proprio da Domenichelli di cambiare la relazione“, gli ha ricordato il pm Salvadori.

Non esiste“, la secca risposta del teste.

E non esiste più neanche la Popolare di Vicenza, che ha lasciato con le tasche vuote i suoi soci risparmiatori.


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