
Sono oltre 300 le parti civili costituite per chiudere giustizia ai responsabili del disastro Pfas nel processo Miteni. Oggi è stato il turno delle società del servizio idrico integrato. Per loro ha parlato l’avvocato Marco Tonellotto, con un netto j’accuse: «In questo processo, gli imputati e i responsabili civili hanno tentato di spostare le proprie responsabilità sul sistema produttivo e industriale locale, e perfino sul sistema istituzionale». Un tentativo di “scaricare” sul distretto industriale della Valle del Chiampo o sulla Pubblica Amministrazione. Tonellotto ha messo nel mirino il “modello Miteni” inteso come «strategia, tipo di impresa, espressione di un modo di pensare e di agire».
L’arringa di Tonellotto va dritta al dunque: «Gli imputati si trovavano di fronte a un bivio netto, preciso, senza zone grigie: da una parte, bloccare l’attività e risanare l’ambiente, con costi enormi ma con la consapevolezza di evitare una catastrofe irreparabile. Dall’altra, continuare a produrre, massimizzare il profitto e, soprattutto, scaricare il problema su altri, sulla collettività, sulle future generazioni, sulla salute pubblica». Secondo Tonellotto è stata una questione di affari: «Per ICIG e i suoi uomini, la prospettiva era senza dubbio quella di un profitto irripetibile – ha evidenziato in aula il legale – mentre per Mitsubishi, il ragionamento era ancor più cinico: si trattava di liberarsi di un problema ambientale enorme, un problema che i suoi tecnici avevano stimato in almeno 18 milioni di euro. La scelta è stata quella di liberarsi dello stesso evento disastroso, anziché bloccarlo e ripararlo, lasciando consapevolmente che si evolvesse dal 2009 ad oggi». Insomma, gli imputati, secondo l’avvocato, hanno fatto una scelta, decidendo che «il denaro veniva prima della sicurezza, prima della vita delle persone, prima della legalità. Hanno deciso di non fermare la produzione, pur avendo la certezza che l’evento disastroso si sarebbe verificato o aggravato».
Viacqua ora, ha ricordato Tonellotto, deve affrontare l’urgenza quotidiana di riparare il disastro, un’urgenza destinata a durare molti anni: «L’acqua, bene essenziale per la vita, è stata distrutta. Dal 2013 ad oggi, nessuno si è fatto avanti con un piano concreto per il suo ripristino. Se ne sono occupati i Consigli di Bacino e i gestori del Servizio Idrico Integrato, gli Enti Territoriali, insomma tutti coloro che si sono assunti l’onere di ricostruire ciò che altri hanno devastato. Ci siamo dovuti rimboccare le maniche per garantire ai cittadini ciò che spetta loro di diritto: un’acqua buona, sicura, pulita. E abbiamo operato anche in difesa delle imprese sane, di quelle realtà produttive che lavorano con correttezza e passione, che ricercano la sostenibilità e che non accettano di essere associate a un modello di impresa criminale, come quello di Miteni». Tonellotto ha ricordato un principio cardine del diritto ambientale: «La posizione di responsabilità, di garante, del produttore di sostanze pericolose, di colui che crea un rischio che prima non c’era, che lo attiva, lo mette in moto. Chi produce e immette nel mercato sostanze il cui impiego può provocare problemi sanitari e ambientali ha una responsabilità chiara, sancita dalla legge, che è solo sua». Solo del “modello Miteni”.