Processo Pfas, ancora Arpav sul banco dei testimoni: “Miteni non ha garantito il funzionamento delle opere propedeutiche alla bonifica”

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Processo Pfas (elaborazione foto d'archivio aula tribunale a Vicenza)
Processo Pfas (elaborazione foto d'archivio aula tribunale a Vicenza)

Processo per inquinamento da Pfas, il 3 marzo è stato il secondo giorno di contro esame del testimone dell’accusa Alessandro Bizzotto, ex responsabile dei Controlli dell’Arpav di Vicenza, che oggi si è sottoposto alle domande degli avvocati difensori –  si legge nella nota che pubblichiamo a firma di Roberta Polese per Acque Veronesi, Acque del Chiampo, Viacqua e Acquevenete (loro aggiornamenti sul processo Pfas su www.processopfas.itqui news sul processo Pfas su ViPiu.it, ndr) .

Davanti ai giudici della Corte d’Assise il dirigente Arpav è stato chiamato a spiegare le azioni messe in campo dall’agenzia regionale da quando è stata resa pubblica la notizia della contaminazione da Pfas.

Gli imputati sono 15 manager di Miteni spa, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. L’obiettivo delle difese è dimostrare che tutte le attività dell’azienda, in tema di sversamenti, erano costantemente sotto il controllo delle autorità competenti.

Al centro del dibattimento anche il “Miso”, ossia la messa in sicurezza operativa che l’azienda aveva proposto, ma solo dopo il 2013. Si tratta di una misura di protezione che doveva contenere l’inquinamento in vista della bonifica, impedendone l’uscita dai confini del sito aziendale. “E’ chiaramente emerso come il Miso non abbia mai raggiunto il suo scopo, così come non ha mai compiutamente funzionato nessuna delle misure intraprese dall’azienda per contenere l’inquinamento  – spiega l’avvocato Marco Tonellotto, che insieme ai colleghi Angelo Merlin e Vittore D’Acquarone tutela Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi costituitesi parti civili –, quando l’azienda stessa era invece la garante di questi mezzi di tutela ambientale e di interdizione del rischio, che avrebbe dovuto a mettere efficacemente in pratica”. Questo, a detta dei gestori, ha consentito la diffusione dell’inquinamento, secondo il teste fenomeno ancora in atto anche dopo il fallimento.

Roberta Polese per Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi.