Nell’ambito del Processo Pfas, ieri in aula a Vicenza è stata sentita Loredana Musmeci, già dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità. A lei è stato chiesto di riferire in merito ai pareri emessi dall’Iss nel 2013 e nel 2014 su richiesta del Ministero dell’Ambiente e della Salute.
Dalle sue parole è emerso, come in occasione di altre testimonianze nel processo, che anche se non completo c’era comunque un livello di conoscenza del rischio per l’ambiente e per la salute dei cittadini residenti attorno allo stabilimento Mitenti di Trissino a causa della presenza di Pfas, soprattutto nelle acque.
Così, Rebecca Luisetto su Il Corriere del Veneto riporta le dichiarazioni rese in aula dalla teste: “Il primo parere ci è stato richiesto dopo lo studio del Cnr sulle acque potabili, che aveva rilevato la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nel Po – ha detto la Musmeci –. Volevano sapere quale fosse il rischio sanitario su un’eventuale esposizione a Pfas.
La ricerca è stata affidata ai reparti competenti delle acque, dottor Luca Lucentini, e del reparto tossicologico, dottoressa Emanuela Testai». E già in questo primo parere emerge qualcosa. «All’epoca le conoscenze sui Pfas erano meno approfondite di ora – ha continuato – ma si sapeva, e lo abbiamo inserito nel parere, che avevano interferenze endocrine, provocavano malattie metaboliche. Si cominciavano a vedere anche degli studi su un possibile rischio cancerogeno, ma non era ancora conclamato.
All’epoca avevamo rapporti non solo con il Ministero – ha sostenuto la dottoressa – ma anche con la Regione, le Ulss e l’Arpav e avevamo detto che la contaminazione non andava taciuta, per la tossicità delle sostanze e i possibili rischi bisognava informare la popolazione. Avevamo anche suggerito di cercare delle falde sotterranee alternative per l’acqua potabile e di iniziare subito la depurazione delle acque da queste sostanze, che non era facile e costoso. L’unico sistema realizzabile, e poi applicato, era quello dei carboni attivi»”.
E ancora: “«I limiti li abbiamo dati nel parere del 2014. Ci siamo confrontati con quelli espressi dalle agenzie internazionali, soprattutto Efsa (autorità europea per la sicurezza alimentare ndr), e siamo stati ancor più restrittivi. Loro calcolavano una dose tollerabile quotidiana nell’acqua potabile sulla base del 10% di assunzione per un uomo di 70 chilogrammi, mentre noi avevamo considerato il 10% in relazione a un bambino di 10 chilogrammi, arrivando a indicare limiti pari a 0,3 microgrammi litro per i Pfos e 3 microgrammi litro per i Pfoa». Sullo sviluppo di altri studi condotti dall’Iss e i loro risultati, però, la dottoressa Musmeci non ha saputo dare spiegazioni. Lei, dal 2016, si trova in quiescenza”.
Fonte: Il Corriere del Veneto