All’udienza del 17 maggio scorso nel procedimento penale contro Vincenzo Consoli, per la vicenda di Veneto Banca, ha destato molto scalpore la testimonianza dell’ispettore di Bankitalia, Biagio De Varti, indicato dalla Procura; costui (dimostrando una ferrea memoria, anche su particolari di contorno, quando ha dovuto rispondere alle domande dell’accusa, e, invece, molto più labilità evocativa, quando si è trattato di rispondere a quelle della difesa) ha inteso interpretare il suo ruolo con molto più realismo del Re e si è avventurato in una ricostruzione della vicenda talmente inverosimile (e grave) che, probabilmente, qualche problema finirà proprio per averlo (stando a quanto riportato dai giornali, con identici virgolettati).
Anzitutto, il teste ha ribadito il solito refrain della gestione della banca da parte di superman Consoli, che faceva tutto lui, senza alcun dissenso all’interno del CdA e senza che nessuno glielo potesse impedire o lo potesse anche solo contrastare, pena – se lavoratore dipendente- il suo licenziamento; il CdA, del resto – sempre secondo il teste – sarebbe stato del tutto privo di competenze tecniche, oltre che incapace di resistergli.
E, anche qui, è stato fornito dal dott. De Varti un quadro inverosimile, perché della governance di allora facevano parte imprenditori di grande valore (e di rilevanza nazionale), professionisti, avvocati e dottori commercialisti di successo, perfino ex ufficiali della Guardia di Finanza: tutti incapaci? Tutti supini, obbedienti e appiattiti sulle posizioni di Consoli ? Tutti senza opinioni personali ?
E’ molto probabile, invece, che l’ispettore, molto superficialmente, si sia limitato a leggere le delibere riportate nei verbali del CdA, nei quali – come risaputo – è scritta sinteticamente la decisione collegiale, preceduta dalla solita formula di rito “previa ampia e esaustiva discussione“ o simile. In pratica, per un malinteso senso di ricerca di un’estrema sintesi, spesso non viene riportata la vera e propria discussione, in tutta la sua estensione, comprensiva di domande e risposte, dalla quale soltanto si potrebbe percepire la consistenza del reale contributo partecipativo di ciascun consigliere alla formazione di una decisione collegiale; e, così, il superficiale lettore riceve l’impressione della sistematica esistenza di decisioni imposte o prese alla leggera e non approfondite, in assenza di dialettica. Non si riuscirebbe altrimenti a capire come gli ispettori abbiano potuto trarre quel loro convincimento sulla sola base della lettura dei verbali delle sedute consiliari.
Ma, a parte ciò, quel che più impressiona è che l’ispettore De Varti ha, senza esitazione, dichiarato che “all’esito della seconda ispezione, quella tra aprile e agosto 2013, si scoprì … che Veneto Banca era a serio rischio di default”. E questo soprattutto perché, durante la seconda ispezione, Consoli gli avrebbe detto (leggo l’identica espressione riportata, tra virgolette, da più quotidiani, NDR): “lei deve stare molto attento a quello che fa, altrimenti la banca si squaglia sotto i piedi …”: un’espressione davvero “inquietante” – come ha convenuto lo stesso De Varti, pur riferendola alla propria percezione. Ma, stranamente, di tale gravissima (se vera) frase non c’è traccia nella relazione a sua firma!
Quindi, se l’espressione che De Varti attribuisce a Consoli gli era apparsa talmente grave e inquietante da sentirsi in dovere di riferirla, ora, a distanza di otto anni, in sede di testimonianza innanzi all’Autorità Giudiziaria, come mai non l’ha riferita anche, nell’immediatezza dei fatti, nella relazione ispettiva, che era la sede naturale delle sue considerazioni critiche sull’andamento della banca, all’esito del suo lavoro? Proprio questa è la cosa più grave, perché l’ispettore, che è un pubblico ufficiale, avrebbe dovuto immediatamente riferire la circostanza al Capo della Vigilanza, per consentire l’adozione degli opportuni e urgenti rimedi.
Invece, ora abbiamo la prova certa che, fino al novembre 2017, Carmelo Barbagallo, non era neppure a conoscenza di ciò che Consoli (con vera e propria incoscienza, peraltro improbabile) avrebbe confidato all’ispettore. Infatti, nella sua relazione consegnata alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, datata 2 novembre 2017, il dott. Barbagallo ha precisato (pag. 13) che la “liquidità delle banche venete aveva cominciato a deteriorarsi solo nel corso del 2015, anche per effetto dell’incertezza dello stato del sistema bancario italiano generata dal protrarsi, oltre le attese, della debole fase congiunturale e delle difficoltà di altre banche …” ed ha, poi, parlato del piano di rilancio di Veneto Banca che prevedeva, con il plauso di Bankitalia, la sua trasformazione in SpA (poi realizzato), un aumento di capitale (per 1 miliardo) e la sua immediata quotazione in borsa! Quindi, lo stesso Barbagallo, capo del De Varti, ha tracciato un quadro della situazione assolutamente incompatibile con quello (molto più fosco) che, quattro anni prima, aveva descritto lo zelante suo ispettore .
E, poi, come si concilia la pesante affermazione del De Vardi in sede di sua testimonianza al Tribunale di Treviso, con il rilievo che nel 2014, Veneto Banca – contrariamente alle sue nefaste previsioni – ha, invece, brillantemente superato il Comprehensive Assessment (CA) europeo (a differenza di altre banche) ?
E, se fosse vero ciò che De Vardi ha riferito, occorrerebbe pensare che, quantomeno per l’aumento di capitale di Veneto Banca sottoscritto dal Fondo Atlante, Bankitalia si sarebbe prestata ad ingannare il mercato, perché, pur sapendo che la popolare di Montebelluna era ormai uno zombie, l’ha autorizzata a proporre l’aumento di capitale; e questa sarebbe stata una scelta gravissima, che avrebbe imposto, di per se stessa, un’esemplare iniziativa risarcitoria contro l’Istituto di Vigilanza.
Un’ultima osservazione: nonostante la sua evidente irrilevanza ai fini del processo penale in corso, la notizia dell’ingente compenso elargito da Veneto Banca a Vincenzo Consoli (comunque non proprio esatta) è stata riferita dal De Vardi (e poi, inevitabilmente enfatizzata in sede mediatica) solo per alimentare il rancore contro il personaggio e per contribuire a sviare l’opinione pubblica nell’attribuzione della vera responsabilità per la truffa subita dagli ex soci-risparmiatori: i quali, tuttavia, non si dimenticheranno facilmente del trattamento subito per le manovre di sistema e per le tante sviste di una Vigilanza che ha sempre preferito puntare alla stabilità del sistema stesso, più che alla loro tutela.
Giovanni Schiavon
già magistrato, ex presidente dei Tribunali di Belluno e Treviso
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