Inviato a Treviso. Le operazioni cosiddettte baciate sono state di nuovo protagoniste nell’udienza di oggi 17 maggio del processo sul crac di Veneto Banca che vede l’ex ad e dg Vincenzo Consoli imputato unico, difeso dall’avvocato Ermenegildo Costabile di Milano. Oltre alle operazioni baciate si è parlato anche di crediti deteriorati. Il teste del pm De Bortoli, dott. Biagio De Varti, ispettore di Banca d’Italia capo team delle due ispezioni a Veneto Banca nel 2013, ha detto, davanti al collegio giudicante composto dai giudici Umberto Donà (presidente), Alberto Fraccalvieri e Carlotta Brisegan, che l'”internal audit non interveniva per non disturbare il manovratore Consoli”, che era un “uomo solo al comando”. La prima ispezione doveva accertare il livello di accantonamenti sui crediti deteriorati delle banche nel contesto della crisi economica e faceva parte di una serie di ispezioni, una ventina, nelle principali banche italiane. La seconda ispezione nel corso dello stesso anno era già programmata dopo che 4 anni prima, nel 2009, c’era stata la precedente ispezione. La seconda fase di ispezione del 2013 puntava al portafoglio crediti della banca.
La cronaca
De Varti ha spiegato che secondo la normativa di vigilanza le banche devono classificare i crediti in funzione del titolo di finanziamento che è stato concesso distinguendo tra credito in bonis, crediti ristrutturati, incagli e sofferenze.
“C’erano accantonamenti non giustificati da garanzie immobiliari – ha detto l’ispettore di Bankitalia – se ci sono basse previsioni di perdita, perché accantonare? Trovammo perdite che incrementavano del 60% quelle della banca. Le perizie esponevano soltanto il valore di mercato ma non il valore di realizzo che sarebbe stato più utile per una valutazione sui crediti. Le regole di valutazione interna – ha spiegato ancora De Varti – sugli incagli non erano adeguate, le valutazioni erano particolarmente basse, il dato medio era del 15%, mentre gli accantonamenti delle banche principali erano attorno al 30%. Le prassi amplificavano poi la carenza delle regole, le policy sulle previsioni di perdita non erano adeguate né nella prima, né nella seconda ispezione, i controlli erano inconsistenti. L’internal audit non interveniva sulle classificazioni – ha detto ancora l’ispettore di Bankitalia – a me è sembrato un atteggiamento per non disturbare il manovratore”.
Il “manovratore” e l’eccessivo stipendio
In Veneto Banca c’era un ruolo egemone da parte di Consoli secondo l’ispezione della Banca d’Italia. “Era percepito da tutti come l’artefice, Trinca e Attiga per esempio erano persone che non avevano particolari capacità tecniche nella gestione della banca” ha detto ancora De Varti, secondo cui Consoli nel corso dell’ispezione aveva azzerato le valutazioni del capo dei crediti e voleva obbligare il firmatario del bilancio a uscire con un bilancio non veritiero. “Per Consoli la situazione della banca era chiara – ha aggiunto -, è un tecnico. Consoli mi ha ripetuto più volte una sorta di avvertimento o velata minaccia: ‘lei deve stare molto attento a quello che fa se no la banca le si squaglia sotto i piedi’. Era perfettamente consapevole delle azioni sopravvalutate e di tutti gli altri problemi. Il suo stipendio era di un milione e seicentomila euro come quota fissa e un milione e duecentomila come quota variabile, poi aumentati, fino ad arrivare a un totale che superava i 3 milioni l’anno (lordi, precisiamolo, e non capiamo la relazione tra stipendio e possibili irregolarità, ndr). Bankitalia chiede il benchmark, il confronto con altri istituti per una remunerazione ragionevole: era l’ad più pagato d’Italia, secondo solo a quello di Intesa per 50 mila euro. Non è contestato il fatto di farsi pagare troppo – ha ammesso De Varti, ma quella cifra era completamente irragionevole rispetto al fatto che la banca non produceva utili, li aveva prodotti fino all’anno prima nascondendo le perdite. Non c’era nessuno in grado di contrastare o sostituire Consoli, uomo solo al comando, non aveva pensato alla successione”.
“Nel corso della seconda ispezione, nell’agosto 2013 – ha detto ancora l’ispettore di Bankitalia – trovammo alcune pratiche di fido in cui c’era scritto che attraverso quell’importo erano previsti acquisti di azioni, oppure che il finanziamento era concesso perché il cliente evitasse di perdere le azioni che già aveva. Pensammo che i vertici della banca avessero perso il lume della ragione perché un’azione finanziata deve essere dedotta dal patrimonio perché sarebbe un caso chiaro di annacquamento del capitale”.
E poi altre bordate: “Non è prudente per una banca finanziare attività speculative per l’attività immobiliare. Si concedevano continue rinegoziazioni per evitare di far emergere le perdite, le remunerazioni più che generose al signor Consoli hanno nascosto per anni sotto al tappeto (qui torna il dubbio sulla relazione retribuzione – possibili illeciti, ndr) la vera situazione del portafoglio crediti. Le pratiche principali andavano al consiglio che però non diceva nulla, non c’erano persone in grado di fornire un contributo tecnico rilevante a parte Consoli. Si era perso il senso della differenza tra azioni lecite e illecite dal punto di vista delle circolari di Bankitalia. In astratto un cliente finanziato può avere azioni della banca. Un ragionamento che mi faceva spesso Consoli era ‘se io dò fiducia a un’azienda per cui la finanzio, io posso chiedere fiducia al suo imprenditore e chiedergli di investire nella banca’. È un discorso ineccepibile, il problema è quando non deduci dal patrimonio e per non dedurre dal patrimonio dai i soldi in mano per evitare che venda le azioni, quello che conta è la motivazione per cui dò il finanziamento”.
La difesa ha replicato che le ispezioni su altre banche come la Banca popolare di Intra e Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, la prima acquisita e la seconda fusa in Veneto Banca, erano state positive e che nel cda di Veneto Banca, “è vero che c’era il mondo imprenditoriale e professionale veneto e non i palazzi romani – ha detto Costabile – però Ambrogio Dalla Rovere è stato presidente della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancora, Flavio Trinca è un commercialista di lungo corso (sui presunti “incompetenti” nel cda di Veneto Banca cfr Processo Veneto Banca, parte il 10 aprile contro l’imputato unico Consoli. Il collegio del dr. Donà non potrà giudicare gli “incompetenti”…. ).
Secondo Costabile gli ispettori di Bankitalia hanno criticato il prezzo delle azioni davanti al cda, ma poi Banca d’Italia ha approvato il prestito obbligazionario e l’aumento di capitale.
Il secondo teste dei pm De Bortoli e Cama è stato Pasquale La Ganga, all’epoca giovane collaboratore degli ispettori di Bankitalia con mansioni operative, non sembra sempre in totale sintonia con De Varti sulla tesi di “Consoli uomo solo al comando”. “La valutazione deve rispecchiare il contesto storico – ha detto – ci sono trend di mercato che penalizzano in maniera quasi similare gli intermediari. Il fenomeno delle baciate è emerso casualmente, il referente della banca Mazzon disse che erano prassi della banca, ma che erano un fenomeno limitato, con pochissime operazioni, retaggio del passato, della politica creditizia pregressa. Noi chiedevamo di spiegare il fenomeno su criteri oggettivi. Ho avuto a che fare con persone che mi davano l’idea di conoscere bene la banca – ha aggiunto a proposito dei dirigenti della banca in ciò dando più peso al loro ruolo -. Gli advisor esterni valutavano la coerenza della prassi operativa aziendale rispetto alle policy”, ecco l’altro punto che non conferma la “solitudine” del comando di Consoli.
L’avvocato Costabile infine ha fatto notare che i piani industriali di Veneto Banca venivano trasmessi a Banca d’Italia e ha commentato, tra l’altro, un caso di operazione baciata in cui secondo lui le azioni derivavano da un concambio e non da soldi spesi dalla cliente.
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