Protesta per fame dei ragazzi palestinesi sedata col sangue da Hamas: il racconto dell’inviato del Fatto

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bandiera Palestina

Per quattro giorni di fila migliaia di giovani della Striscia di Gaza sono scesi in strada per protestare contro le terribili condizioni di vita. Un movimento apolitico, nato sul web sotto il segno #We Want to Live. I ragazzi della Striscia si sono scontrati con una brutalità e una violenza inimmaginabile della polizia di Hamas, del suo Mukkhabat in abiti civili, dei miliziani delle Brigate Ezzedin Al Qassam, il braccio armato del movimento islamista.

Le dimostrazioni a Jabalya, a Deir al Balah, a Khan Younis, a Rafah, sono state disperse con i proiettili veri sparati in aria, bastoni, spranghe e spray al peperoncino. Indeterminato il numero dei feriti. I poliziotti di Hamas sono entrati anche in diverse abitazioni per sequestrare e distruggere i video girati con i telefonini dalle finestre che mostravano i mezzi violenti usati per sedare le proteste. Oltre 500 dimostranti sono stati arrestati ed erano talmente tanti che nell’abitato di Shejaya è stata sequestrata la scuola Al Hashimiya e trasformata in posto di polizia.

I ragazzi del movimento We Want to Live respingono ogni affiliazione politica, non stanno prendendo di mira nessun partito in particolare, ce l’hanno con le politiche disumane di tutte le parti coinvolte a Gaza. La lista comprende al primo posto le nuove tasse di Hamas, la crisi economica e le sanzioni dell’Autorità nazionale palestinese, il blocco di Israele, le divisioni interne palestinesi.

I ragazzi hanno semplicemente voluto urlare: ne abbiamo abbastanza, di tutto. We Want to Live è anche una pagina Facebook con decine di migliaia di follower. È piena di testimonianze, foto e video di questi giorni. “Perché il figlio 20enne di un capo di Hamas ha tutto; casa, macchina e soldi e la gente comune nemmeno un pezzo di pane?”, chiede Adina nel suo post. “Hamas ha ereditato la politica di oppressione di Israele”, chiosa Mohammad. “Tutti hanno il diritto di opporsi a chiunque li punisca, li torturi. Ogni persona ha il diritto di dire “siamo stanchi di tutto questo”, scrive Hafez.

Negli ultimi 12 anni – da quando comanda Hamas nella Striscia – ci sono state tre guerre devastanti e ogni tipo di commercio si è via via sgretolato per il blocco israeliano. È la crisi economica a preoccupare, nella Striscia vivono 2 milioni di persone, oltre 1 milione dipende per vivere dagli aiuti Onu. “In passato la povertà non ha mai raggiunto il livello della fame – dice Samir Zaqout, vicedirettore del Centro Al Mezan per i diritti umani – oggi non posso più dirlo: a Gaza siamo sicuramente alla fame”.

I leader, i funzionari e gli attivisti di Hamas hanno deliberatamente propagandato fake news: le proteste sono spinte dall’esterno, “controllate da Israele e l’intelligence dell’Anp” per far cadere la “resistenza palestinese”. I manifestanti sono stati bollati come suicidi, drogati, traditori e i “loro complici delle Ong per i diritti umani” come “spie pagate dal nemico”.

Non è la prima volta che a Gaza si protesta contro il carovita e la crisi economica che lascia a casa il 56% della forza lavoro (il 70% degli abitanti di Gaza ha meno di 18 anni), e coloro che uno stipendio ce l’avrebbero lo prendono a rate perché le casse delle banche sono vuote. Ufficialmente i 15 milioni di dollari al mese mandati dal Qatar come aiuto umanitario – di cui Israele consente il passaggio – non è chiaro che fine facciano, certamente Hamas paga prima i suoi uomini e poi i dipendenti pubblici.

La natura della protesta è la prova delle crepe nel regime e Hamas ha timore che il suo potere stia gradualmente svanendo. Il gruppo islamista non è del tutto sicuro che dopo la dura repressione sarà ancora in grado di arruolare le masse per le marce di protesta che si svolgono da 40 settimane ogni venerdì lungo la barriera di confine con Israele. L’invito via web a tutti i sostenitori di We Want to Live è di disertare le proteste contro Israele il venerdì lungo il confine e lasciare soltanto gli attivisti di Hamas a vedersela con l’IDF.

Il paradosso di Gaza è che in altre circostanze, Israele sarebbe soddisfatto di questa situazione e la vedrebbe come una prova del successo del blocco che potrebbe portare alla caduta degli islamisti. La crisi che Hamas sta vivendo preoccupa invece Israele e il suo premier Benjamin Netanyahu. C’è bisogno di un partner che si assuma la responsabilità di gestire la Striscia, fermare una disintegrazione che potrebbe portare a un conflitto armato su larga scala alla vigilia delle elezioni con il caos di milizie che si contendono queste sabbie.

All’improvviso si scopre che gli scontri alla barriera di Gaza ogni venerdì rappresentano una minaccia marginale, rispetto al rischio di default del governo di Hamas e le sue conseguenze.

di Fabio Scuto da Gerusalemme per Il Fatto Quotidiano