Psicologia sociale e autorità: possiamo liberarci dai condizionamenti sociali?

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Principio di autorità, il cane di Pavlov
Principio di autorità, il cane di Pavlov

«Nelle forme autoritarie della società trovano soddisfazione tanto le tendenze masochistiche quanto quelle sadistiche»[1]. Questa citazione dello psicologo e psicanalista tedesco Erich Fromm fa nascere delle riflessioni su come le società autoritarie necessitano di una sottomissione psicologica delle masse all’autorità stessa, e in questa sottomissione emerge il carattere ambiguo del rapporto di autorità. Questa ambiguità è la compresenza di masochismo e sadismo nel rapporto di autorità, ovvero di sottomissione e di liberazione dell’individuo. L’autorità da un lato sembra liberare tutti i desideri dell’individuo e le sue tendenze aggressive verso gli altri, dall’altro inconsciamente sottomette la coscienza delle masse a sé stessa.

La psicologia sociale, o psicologia dei popoli (Völkerpsychologie)[2] come la chiamò lo psicologo Wilhelm Wundt, studia i rapporti fra l’individuo e la società e i relativi condizionamenti sociali che l’autorità esercita sugli individui e le masse. Come la società e l’ambiente esterno arrivano a modificare i nostri comportamenti, le nostre scelte e persino i nostri pensieri? Possiamo essere liberi, anche solo psicologicamente, dall’autorità?

Il fisiologo russo Ivan P. Pavlov è stato uno dei più famosi studiosi del condizionamento e dei riflessi condizionati, formulando la teoria del condizionamento classico. Pavlov fece un esperimento sui cani, per vedere come uno stimolo condizionato potesse produrre un riflesso altrettanto condizionato. L’esperimento consisteva nell’osservare innanzitutto come un cane ha un riflesso incondizionato e naturale, la salivazione, allo stimolo del cibo. Tramite delle cannule usate per misurare la salivazione Pavlov misurò il flusso salivare del cane in una situazione neutra e quando riceveva del cibo, misurando la differenza. Il cane veniva poi sottoposto a uno stimolo neutro, il suono di un campanello. Il campanello poi veniva suonato poco tempo prima o durante la somministrazione di cibo, e il fisiologo russo notò successivamente che il cane reagiva, con la salivazione, anche al solo stimolo del campanello. Uno stimolo originariamente neutro era diventato capace di produrre un riflesso condizionato. Il comportamento degli animali, e degli uomini, cambia quindi in base al contesto ed è modificabile.

Gli animali non sono gli unici a subire condizionamenti dall’ambiente esterno, anche noi esseri umani siamo fortemente condizionabili. Un esperimento che mette in risalto la nostra ubbidienza condizionata all’autorità è quello condotto da Stanley Milgram[3] nel 1963. Lo psicologo americano condusse un esperimento per studiare il confine fra obbedienza all’autorità e alla propria coscienza morale. Reclutò 40 soggetti sperimentali in modo casuale tra persone comuni e disse loro che dovevano partecipare a un esperimento sull’effetto delle punizioni sull’apprendimento. Ai soggetti sperimentali veniva assegnato il ruolo di finto “insegnante”, sotto la supervisione di un complice presentato come un importante ricercatore scientifico, e dovevano infliggere una scarica che variava da 15 a 450 volt a uno studente, anch’esso complice, ogni qualvolta sbagliava la domanda. L’allievo dopo le prime risposte giuste alle domande dell’insegnante iniziava a sbagliare e il ricercatore iniziava allora a fare pressioni sull’insegnante affinché somministrasse scariche sempre più alte, spiegando le conseguenze che avrebbero avuto sullo studente, che fingeva reazioni sempre più gravi. Nonostante dopo i 300 volt lo studente fingeva di perdere i sensi, il 62,5% dei partecipanti obbedì agli ordini.

Questo studio ci fa riflettere su quanto a volte sia debole la nostra coscienza morale e su come, in realtà, l’autorità e le sue leggi condizionino i nostri concetti di crudeltà e giustizia. In determinati contesti la nostra stessa volontà si sottomette non coscientemente all’autorità e agisce anche contro la propria coscienza. Lo stesso Milgram affermò che «spesso non è tanto il tipo di persona che un uomo è quanto il tipo di situazione in cui si trova a determinare come agirà»[4].

Questo e altri studi mettono in evidenza che il condizionamento è dato, anche, dal rapporto con la totalità e la società. La psicologia sociale ci ha aiutato a comprendere anche che «la maggior parte degli atti sociali devono essere compresi nel loro ambiente e perdono significato se isolati»[5].

La società stessa, nel suo complesso, arriva a modificare la nostra volontà, ma possiamo liberarci veramente da questi condizionamenti, alla base della sottomissione psicologica all’autorità?

Possiamo realizzare una «rivoluzione in senso psicologico»[6] come scrisse Erich Fromm, o siamo condannati a essere servi della società?

[1] E. Fromm, Studien über Autorität und Familie, citato in H. Marcuse, L’autorità e la famiglia, Einaudi, Torino 1970, pag. 13.

[2] W. Wundt, Compendio di psicologia, p. 59.

[3] S. Milgram, Obbedienza all’autorità. Uno sguardo sperimentale, Einaudi, Torino 2003.

[4] Ivi, pag. 205

[5] S. Asch, Social Psychology, 1952, p. 61.

[6] E. Fromm, Studien über Autorität und Familie, cit., pag. 13.


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a cura di Michele Lucivero

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Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO).