Premessa. Michele Serra nella sua rubrica L’amaca sul quotidiano “La Repubblica” del 23 marzo 2018, parla della necessità di un ritorno a Karl Marx e alla modalità della sua analisi del capitalismo, aggiornandolo in riferimento ai nuovi modi di costituzione del capitale stesso e ai problemi sociali che esso comporta. Un ritorno all’analisi del plusvalore e di come questo venga acquisito, ad esempio, con la diffusione persino gratuita di Facebook.
Un’indicazione interessante che raramente accade di cogliere, perché, molto spesso, del fondatore, meglio dei fondatori (consideriamo anche F. Engels) del comunismo si parla solo in toni ideologici e ancor più con slogan, mentre del capolavoro di analisi di Marx, Il Capitale, non si conosce spesso che solo il nome. Del contenuto poi in Italia pochissimi se ne sono occupati, piace ricordare tra questi Piero Sraffa (Torino, 5 agosto 1898 – Cambridge, 3 settembre 1983) che operò soprattutto nell’ambito della scuola keynesiana a Cambridge a partire dal 1927. Pochi altri tentativi, spaventava e spaventa la mole del lavoro marxiano, meglio il rifugio della elaborazione filosofica, che lo stesso Marx dichiarò essere una sovrastruttura e soprattutto ancor meno i tentativi di aggiornare le analisi del capitalismo compiute dall’uomo di Treviri su un capitalismo che con l’oggi ha poco a che vedere. Una ripresa della critica dell’economia politica, come ben si denomina Il Capitale è in ogni caso urgente, anche da parte capitalista e soprattutto vi è la necessità di evitare la confusione tra questa e la critica della politica economica cui spesso i partiti di ispirazione, più o meno vaga, comunista si richiamano, utilizzando più una visione leniniana che non marxiana
Così…
Un destino molto amaro ha avuto in Italia negli ultimi decenni il pensiero di Karl Marx. Dopo circa vent’anni di ininterrotti studi, di ricerche, di confronti, tanto che la bibliografia risulta sterminata e soprattutto spesso ad uso di questo o quel movimento, improvvisamente nel 1992 cessarono o quasi gli interessi verso il pensatore di Treviri. Proprio in quegli anni quasi si completò la pubblicazione dell’opera omnia di Marx ed Engels, la MEGA (Marx-Engels Gesamtausgabe). Restando però nel destino teorico di Marx in Italia, questo fu dapprima connesso alle vicende risorgimentali. G. Mazzini e G. Garibaldi aderirono alla I Internazionale, ma ben presto se ne allontanarono per dissidi proprio con Marx, che qualificò i nostri e il Risorgimento con termini non lusinghieri, ma fu ripagato della stessa moneta.
Solo con la fondazione del Partito Socialista Italiano nel 1892 e la pubblicazione de il Manifest del partito Comunista nel 1890 e poi con “Al lettore italiano” di F. Engels nel 1893 possiamo dire che il pensiero di Marx iniziò ad essere studiato, ma esso fu senza dubbio condizionato dalla lettura che ne fece Antonio Labriola (1843-1904), formatosi alla scuola hegeliana di Napoli dei Fratelli Spaventa, che nel 1868 pubblica La concezione materialistica della storia, un testo fondamentale per comprendere la riflessione marxista in Italia e le linee politiche che ne seguiranno, in particolare con la fondazione del Partito Socialista. La sua vita è interessata alla pedagogia e alla filosofia, fu professore di queste discipline all’Università di Roma. Egli vide il marxismo come una filosofia, ponendo precisa attenzione ad fatto che “se i problemi della filosofia della storia si possono risolvere nella semplice sociologia [questi] ci portano naturalmente ad esaminare un indirizzo di pensiero, che ha nome materialismo storico”. Ossia al pensiero di Marx, quale egli espresse nel 1846 nell’Ideologia tedesca, una vasta opera non pubblicata, che prendeva le distanze da molti esponenti del pensiero tedesco, tra cui l’odiatissimo, da Marx, Max Stirner. Il materialismo storico è per quasi tutti gli studenti e studiosi italiani la formula con la quale si riassume il pensiero di Marx; esso ha connotazione “filosofica” ed implica, come ha implicato nella riflessione di molti esponenti culturali e politici afferenti al comunismo una visione del mondo. In questo modo si è avallata la tradizione di un Marx “filosofo” a scapito invece di un Marx, ben più vasto ed importante, quello della critica dell’economia politica, scambiata molto spesso, quasi sempre a dire il vero, dai politici come critica della politica economica. Solo pochi studiosi italiani si sono occupati del pensiero di critica dell’economia politica di Marx. È vero che la Critica dell’economia politica del 1859, Il capitale e le teorie sul plusvaloresono opere vaste, migliaia di pagine e non sempre sono facili per chi si occupa di ideologia, ma queste sono le grandi opere. In Italia a parte Pietro Sraffa, qualche altro studioso quasi nessuno si è occupato di queste opere che invece sono molto studiate nelle università di economia americane. Non a caso il pensiero di Marx è “crollato” con la fine delle ideologie, gli intellettuali italiani, spesso laureati in belle lettere, filosofia o qualcuno anche in sociologia, hanno cavalcato altri lidi, perfino quelli del mito greco, abbandonando di fatto il pensiero di colui che doveva invece essere un caposaldo. Solo di recente qualche timida ripresa di riflessione, ma quello che dobbiamo indagare è se il pensiero di Marx, soprattutto quello de Il capitale possa mai avere un riscontro nell’epoca presenta ed in particolare nelle questioni della crisi mondiale sia a livello industriale che finanziario. Ne Il capitale Marx con precisione prima di tutto indaga il livello della produzione industriale e successivamente anche i livelli della finanza e del mercato e anche quello mondiale, basti pensare al paragrafo Il corso del cambio in Asia del III Libro.
Purtroppo il pensiero di Marx ridotto ad una concezione di tipo filosofico, che lui stesso prima nella Introduzione a “Per la critica dell’economia politica” da me tradotta sui manoscritti originali con U. Curi nel 1975, e poi nella famosa Per la critica del’economia politica del 1859 avrebbe respinto, dato che la filosofia altro non è che una concezione al di sopra della struttura economica, è sovrastruttura, trasformatasi ben presto in un a ideologia confezionata e di difficile trasformazione, ne sanno qualcosa tutti coloro, in primis Toni Negri, che nel 1968 tentarono di uscirne e ritengo che ancor oggi sia una psicoideologia alla quale rimanere legati per non perdere il senso della propria vita. Sulla base dell’ideologia, gli slogan nei quali si chiedeva di identificarsi. Naturalmente tutto ciò con la compiacenza di militanti intellettuali organici, che poco si son chiesti dell’ideologia anche quando questa stava finendo, cercarono di salvare in extremis qualcosa, cfr. il dibattito Stalin era un dittatore, Lenin no. In tutto ciò si è perso il pensiero critico di Marx, cioè la sua analisi, che si è trasformata semplicemente in un atteggiamento spesso ribellistico ed estremistico, pericoloso, avvertiva Lenin, che voleva invece un preciso dirigismo, ma ben presente tra i movimenti, ne ho recensito oltre 200, che sono spesso arrivati ad un ribellismo fine a se stesso.
Tutto ciò sembrò essere deceduto nel 1992, quando dopo 75 anni di totalitarismo sovietico, tutto improvvisamente finì. Non fu così, perché non si sono mai fatti i conti con il comunismo, nonostante la pubblicazione del Libro nero del comunismo. Si preferì fare come i tedeschi, innalzare nel dopoguerra una cortina e far finta di nulla. Guai a parlarne, si sarebbe persa la coesione, ecc. Silenzio non solo oltre cortina, ma anche a Roma soprattutto.
Nella fine non gloriosa del comunismo, che però sopravvive nella forma del guadagno in Cina e in Vietnam, della repressione in Corea e a Cuba, il pensatore e il suo amico Engels, sono stati gettati nell’ombra, come tanti altri, Bobbio, Montanelli per citare solo alcuni, non servivano più alla ormai conquistata sedia di potere e non a caso lo sviluppo della sinistra italiana è avvenuto all’insegna del potere, dell’occupazione di poltrone ecc,. Non è che prima non ci fosse questo, pensiamo alle cosiddette Regioni rosse, ma almeno c’era il condimento dell’ideologia. Ora solo potere e soprattutto economico, attraverso le cooperative e i posti e le assegnazioni statali.
Solo in tempi recentissimi, qualche pubblicazione, che cerca di riprendere il cammino della critica del’economia politica, tanto necessaria proprio in un’epoca di crisi, dove questa non può essere analizzata con le categorie che l’hanno determinata. Forse la comprensione e l’aggiornamento de Il processo di circolazione del capitale, sviluppato da Marx nel II libro de Il capitale, ci darebbe qualche prospettiva di migliore analisi.
Cito solo questi esempi, perché dalla crisi economica, non si esce con le soluzioni tampone, ma prima di tutto con una critica dell’economia politica e non sperando di risolvere tutto con la critica della politica economica o magari, come si fa oggi, sperando di risolvere tecnicamente i problemi di una macchina, quella capitalistica, che ormai si è usurata nelle modalità che sono state utilizzate in Italia a partire dalla crisi del 1929, ossia la assoluta determinazione dello Stato nei processi economici.
Tornerà il pensiero della critica dell’economia politica di Marx? Forse sì, ma dovrò spogliarsi della parte ideologica che fa pensare più alle illusioni sul futuro come è accaduto, che non a risolvere i problemi delle società e degli Stati. In fondo il processo di usura del modello attuale di capitalismo diretto dallo Stato, abbisogna di alternative, ma per fare ciò è necessario passare attraverso la critica dell’economia politica, non alla lettera di Marx, ma almeno, non faccia contraddizione, nello spirito di un pensatore che non fu, come racconta l’aneddoto, marxista.
La Voce del Sileno anno 3
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