Non è ancora stato trovato, a quanto pare, un virus contro l’hate speech dei “leoni da tastiera”. Ieri, la bella notizia della liberazione della giovane volontaria Silvia Romano, tenuta prigioniera per 18 mesi in Africa. Comunque la si pensi, è una bella notizia. Stiamo parlando di una giovane donna la cui vita è stata in pericolo e che ora può riabbracciare gli “affetti stabili” e i “congiunti”.
Ma, nonostante il mantra del “saremo persone migliori”, che nel periodo del Coronavirus è stato ripetuto da più parti, nella speranza che la quarantena portasse le persone a riflettere sul senso della vita, sui veri valori, e magari anche sul peso delle parole, qualcuno ha perso l’occasione per stare zitto. O meglio, per stare fermo con le mani.
I discorsi da bar in questo periodo si riversano ancora di più nella piazza virtuale di Facebook e così sotto all’articolo di Libero sulla sua liberazione si legge “se le piace il caldo poteva rimanere là”, “non mi interessa, ci sono cose più importanti”, ma soprattutto il refrain costante “quanto abbiamo pagato per liberarla?”, “quanto ci sei costata?” “chi ha chiuso l’attività da due mesi ancora non ha visto il becco di un quattrino”, “che dici tra un po’ parti di nuovo”.
Selvaggia Lucarelli, firma del Fatto Quotidiano e TPI, ha risposto con il sarcasmo, sempre su Facebook: «A tutti quelli che “Eh, chissà quanto abbiamo pagato per Silvia Romano blabla”: tranquilli, il riscatto l’abbiamo pagato con le sanzioni di tutti i cretini che non hanno rispettato il lockdown. Tra cui voi, probabilmente».
Ma rimane l’amarezza per aver di fatto avuto la conferma di quanto detto nei giorni scorsi dallo scrittore francese Michelle Houllebecq e dal cantautore italiano Francesco Guccini, cioè che questo virus, il Covid-19, non ci ha cambiato più di tanto. Alla fine del lockdown saremo gli stessi di prima, solo un po’ più tristi e incattiviti dalla crisi economica.
Non resta che sperare che non sia così per tutti e che, soprattutto, chi per lavoro alimenta questo odio gettando benzina sul fuoco attraverso titoli di giornali o propaganda politica, prima o poi oltre a lavarsi le mani si lavi anche la coscienza.