Quarant’anni fa il martirio di Oscar Romero

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“Una grande gioia e un atto di giustizia. Padre Rutilio Grande è stato un martire evidentissimo. Desidero ringraziare il Santo Padre”. Il cardinale Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador e già segretario di mons. Romero, parlando con il Sir, dà voce a tutta la gioia della Chiesa dell’El Salvador che, seppure nel contesto di un duro isolamento per prevenire il contagio del coronavirus, vive settimane irripetibili. Da un lato, qualche settimana fa, è arrivata la notizia del riconoscimento del martirio del sacerdote gesuita Rutilio Grande e di due laici che lo accompagnavano, Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus.
Dall’altro, oggi si celebra il quarantesimo anniversario del martirio di san Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, che di padre Rutilio fu amico. Per quel giorno il programma ufficiale prevedeva una messa solenne, presieduta dal cardinale guatemalteco Alvaro Ramazzini. “Ci sarà invece una Messa celebrata dall’arcivescovo e trasmessa in tv e sulle reti social”, ci dice il cancelliere dell’arcidiocesi di San Salvador, padre Rafael Urrutia.

In occasione della ricorrenza del quarantesimo anniversario della morte di mons. Romero, ricorda il cardinale Rosa Chávez, “la Conferenza episcopale salvadoregna ha proclamato un anno giubilare particolare, un anno ‘martiriale’, per collegare in un unico filo i martiri dell’El Salvador”. Il 12 marzo è stato ricordato il 43° anniversario dell’uccisione di padre Rutilio Grande e dei suoi due compagni; dopo il 40° del martirio di mons. Romero, ci saranno altri appuntamenti lungo tutto l’anno. Conferma padre Urrutia: “I nostri vescovi hanno proclamato quest’anno perché prendiamo coscienza che il Vangelo si vive per la consegna generosa e Gesù Cristo e ai poveri. In questo contesto, l’annunciata beatificazione di padre Rutilio Grande ci dà una grande speranza”.

L’amicizia tra i due martiri. La figura di padre Rutilio Grande, in attesa che venga fissata la data della sua beatificazione, merita di essere meglio conosciuta e valorizzata, certo senza disgiungerla da quella dell’arcivescovo, suo grande amico. Fa notare il cardinale Rosa Chávez, che conobbe entrambi: “Sul loro rapporto ci sono delle leggende da sfatare”. Il riferimento è alla “vulgata” secondo la quale Romero si sarebbe convertito alla causa dei poveri e della sofferenza del suo popolo solo piangendo la morte del caro amico gesuita. Lo aveva conosciuto quando era vescovo ausiliare a San Salvador, lo aveva appena ritrovato, quando padre Grande fu ucciso il 12 marzo 1977, solo tre settimane dopo il l’ingresso dell’arcivescovo a San Salvador. In realtà, l’uccisione del gesuita segnò profondamente Romero, per il quale si deve parlare di “evoluzione”, più che di “conversione”. Giudizio condiviso dai più accreditati biografi dei due martiri.

Uno di questi, il gesuita padre Rodolfo Cardenal, docente all’Università Centroamericana di San Salvador (Uca), è considerato il biografo più accreditato di padre Grande. E commentando la sua imminente beatificazione, dice al Sir: “Intanto desidero fare una sottolineatura. A essere beatificati saranno anche i due contadini Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus. Rappresentano il popolo salvadoregno. Il primo era un catechista settantenne, che accompagnava sempre padre Rutilio, il secondo era un giovane. Sono il segno che la Chiesa martiriale salvadoregna è anche una Chiesa di laici”. Per quanto riguarda padre Rutilio Grande, “va ricordato come formatore di gran parte del clero del Paese, in quanto padre spirituale del Seminario, come persona che operò per incarnare nel contesto salvadoregno il Concilio Vaticano II e la Conferenza di Medellín, come parroco rurale, e infine come grande amico di mons. Romero”. Sul rapporto tra padre Grande e l’arcivescovo, padre Cardenal afferma: “Mons. Romero mostrò fin da giovane la sua preferenza per i poveri, poi da vescovo ausiliare incontrò spesso i campesinos, per lui si può parlare di impegno progressivo”.

Un modello di Chiesa. Ed è questo ciò che pensa anche, don Alberto Vitali, sacerdote dell’arcidiocesi di Milano, grande amante ed esperto di El Salvador e autore di una biografia su Romero: “Per l’arcivescovo l’uccisione di padre Rutilio fa il punto di non ritorno, ma dentro un cammino più ampio. Solo qualche settimana prima, per esempio, entrando a San Salvador rifiuta l’automobile e la casa che gli vengono offerte dall’oligarchia”.
Indiscutibile l’amicizia tra i due martiri, pure dentro a due percorsi diversi.

“È vero però che Romero poteva essere considerato agli inizi un ‘buon conservatore’, una persona obbediente e amante della Chiesa. Studiò bene il Concilio, prese parte ai lavori preparatori di Medellín, ma non condivideva tutto dell’impostazione data alla Conferenza. Proprio per queste sue posizioni non ebbe buoni rapporti con i gesuiti, che allora gestivano il Seminario Maggiore, l’unico del Paese. Ma andava d’accordo con Rutilio, padre spirituale di una generazione di sacerdoti. Nel 1972 cessò l’esperienza dei gesuiti in Seminario e padre Grande chiese di andare parroco, nella grande comunità rurale di Aguilares. Qui formò 2mila contadini, fece un incredibile lavoro al tempo stesso pastorale e sociale. Indirizzò alcuni a essere ‘agenti della Parola’, altri a essere sindacalisti”.

Padre Vitali ritiene che papa Francesco abbia un grande ruolo in questa valorizzazione dei martiri salvadoregni: “Credo voglia proporre quel modello di Chiesa all’attenzione del mondo, come esempio di Chiesa in uscita, che mette al centro i poveri. Così, ha fatto tre scelte molto importanti: la beatificazione e canonizzazione di Romero, ora la beatificazione di Grande, prima ancora la nomina a cardinale di mons. Rosa Chávez, giovane segretario di Romero, per trent’anni ingiustamente poco valorizzato. In queste scelte, c’è un passaggio decisivo. Nel momento in cui si dichiara che Romero è stato ucciso in odium fidei, si afferma che l’impegno per la giustizia è movimento essenziale della fede”.

Un’amnistia mascherata. Intanto, nell’El Salvador, cresce la speranza che questi eventi facciano crescere un impegno per il cambiamento della situazione del Paese, “che è messo peggio rispetto ai tempi di Romero – dice don Vitali -. All’epoca le posizioni erano chiare, oggi c’è una violenza generalizzata. Speriamo che la gente si riappropri di Romero, senza però farne un ‘santino’, una figura idealizzata”.

Non aiuta di certo, in questo contesto, la recente approvazione della legge sulla riconciliazione nazionale (sulla quale però il presidente Bukele ha posto il veto), per chiudere definitivamente i conti con la stagione della sanguinosa guerra civile. È il cardinale Rosa Chávez a dare il suo lapidario giudizio: “È una legge che non realizza gli obiettivi iniziali, un’amnistia dissimulata. Non guarda alla storia con coraggio, e non affronta il tema della riparazione delle vittime”.