Questioni del lavoro: i morti mentre lavorano o vanno a lavorare e l’agonia dell’occupazione

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Lunedì 1° giugno sono stati 4 i lavoratori morti per infortunio nei luoghi di lavoro. Il 2 giugno, Festa della Repubblica, i lavoratori morti mentre lavoravano sono stati 6 (fonte Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro). In questi due giorni di fatto festivi, 10 persone hanno perso la vita nei luoghi di lavoro. Da inizio anno sono così diventati 226 i morti per infortunio e 464 se si considerano anche i decessi in itinere. Da quando si sono riaperte le attività produttive la carneficina ha ripreso la sua tragica corsa.

Secondo gli ultimi dati ISTAT relativi ad aprile, la disoccupazione stimata diminuisce e raggiunge il 6,3%. Un risultato apparentemente positivo. Ma l’apparenza inganna. Infatti gli occupati diminuiscono di 274.000 unità e gli inattivi (chi è senza lavoro e non non lo cerca sostanzialmente per rassegnazione) crescono di oltre 745.000 in un solo mese. Il tasso di inattività cresce del 2% raggiungendo il 38,1%

Notizie che passano, quasi sempre, sotto silenzio. Nascoste da altre che formano quel chiacchiericcio inutile o pericoloso di politicanti che pensano solo al loro tornaconto o di imprenditori che hanno a cuore il proprio profitto. Una situazione abbastanza disperante nella quale la Politica (quella nobile che cerca di trasformare un modello di sviluppo rivelatosi inadeguato, fragile e sbagliato) viene soffocata dalla propaganda.

Le vere questioni del nostro paese sono, però, quelle che vivono i lavoratori. Sono quelle legate a un lavoro quasi sempre precario, mal retribuito, alienante. Sono quelle della contrapposizione che si vuol far credere esista tra salute e lavoro o tra ambiente e lavoro. Sono i ricatti occupazionali. Si legge sempre più spesso di licenziamenti senza nessuna causa (giusta o ingiusta è lo stesso). Si licenzia perché si è deciso di spostare il lavoro da un’altra parte, perché è utile al padrone la chiusura di qualche stabilimento anche se produce e il fatturato è in crescita (le notizie che arrivano dalla FIAC – Atlas Copco di Bologna sono esemplificative di ciò).

Le lavoratrici e i lavoratori si trovano di punto in bianco senza lavoro, senza retribuzione, senza possibilità di vivere decorosamente. Come parti di una macchina che si sono logorate, vengono scartati. Non più esseri umani ma pezzi di ricambio. Persone comunque umiliate da un sistema che, per loro, non fa nulla, al massimo prende atto di una situazione difficile che, però, può essere dimenticata e accantonata. L’importante è garantire la crescita dei profitti di “lorpadroni”.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.