Su Ansa si può leggere: “Accordo raggiunto sui licenziamenti. Le parti sociali – da Cgil, Cisl e Uil a Confindustria – hanno firmato un avviso comune siglato anche dal premier Mario Draghi e dal ministro del Lavoro Andrea Orlando.”
Già da queste righe si capisce che l’accordo è un “avviso comune” che, di fatto, lascia inalterato quanto previsto dal governo e cioè lo sblocco dei licenziamenti tranne che per il settore tessile e collegati (calzaturiero e moda).
Un risultato che, si dice, è un “passo avanti”, che migliora qualcosa per le lavoratrici e i lavoratori … Un risultato che è, comunque, un “avviso” a chi decide. I definitiva si potrà tornare a licenziare e le “vittime” di questa “normalizzazione” saranno coloro che vivono del proprio lavoro.
Il testo dell’avviso, come riportato da ansa, è il seguente: “Le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua”.
Solo una raccomandazione, quindi, di utilizzare gli ammortizzatori sociali prima del licenziamento. Nient’altro che un auspicio di impegnarsi a concludere la riforma degli ammortizzatori sociali e avviare le politiche attive e la formazione. Lo si farà sulla base di “principi condivisi”. Ma quali sono questi principi? Il profitto? Il diritto a lavorare meglio, meno e in sicurezza?
Questo “avviso” sembra la maniera di soffocare qualsiasi conflitto, di permettere a tutti di proclamarsi “vincitori” senza capire che in assenza di lotte organizzate a livello nazionale e senza un movimento forte dei lavoratori, i vincitori sono e saranno sempre e comunque “lorpadroni”.
È un accordo che ha l’odore del “patto sociale” voluto da confindustria. Un odore che promette nulla di buono per chi vive del proprio lavoro.
Le dichiarazioni soddisfatte dei vertici sindacali sono difficili da capire e digerire. Dicono che si sono fatti passi avanti. Ma verso quali obiettivi? Con quali prospettive? Le lavoratrici e i lavoratori otterranno, forse, benefici che non siano la benevolenza dei padroni? Potranno conquistare qualche miglioramento delle loro condizioni di lavoro? È difficile crederlo senza lotta e conflitto.
Il segretario del PD, Letta, dichiara: “Un buon accordo stasera. La concertazione fa sempre fare passi avanti e aiuta imprese e lavoratori. Ne eravamo convinti, lo auspicavamo fortemente e l’accordo di stasera lo conferma. Sindacati, imprese e governo hanno stasera dato un bel segnale al Paese. Bene”.
Si parla di un bel segnale al paese. Si afferma che la concertazione è quanto di meglio possa esistere. Lavoratrici e lavoratori devono ringraziare? Possono essere soddisfatti di questo accordo? Difficile da credere se il risultato è che possono essere licenziati comunque e se saranno sempre più precari.
Questo accordo frutto della concertazione non è la risposta necessaria né sufficiente all’attacco al diritto al lavoro in atto. Bisogna mobilitarsi affinché nessun posto di lavoro possa essere perduto e nessuna lavoratrice e nessun lavoratore vengano lasciati soli.
Partito Comunista Italiano – Dipartimento Lavoro
Queste le 7 righe del testo dell’accordo:
“PRESA D’ATTO.
Le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro.
Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua.”