Scritto nel 1996, dal romanzo di Patrick McGrath, Follia, è stato anche tratto un film dall’omonimo titolo nel 2005 con la regia di David Mackenzie. Mi piacerebbe dire che è un romanzo d’amore, uno di quelli che ti fanno sorridere, che ti fanno venire le farfalle nello stomaco, ma non è così. È un libro di atmosfere psichedeliche e di inquietudini sotterranee, tali da creare quasi una crisi personale, intima, lacerante.
Del resto, quest’anno ricorre il centenario della fondazione del manicomio “Don Uva” di Bisceglie, la città nella quale vivo da qualche anno. Il Don Uva è un luogo che ancora oggi urla il suo dolore e sul quale aleggia un velo di tristezza. Ora, è proprio in un manicomio che è ambientato Follia, però un manicomio della Londra dei lontani anni ‘50.
«Le storie d’amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni. Si tratta di relazioni la cui durata e la cui intensità differiscono sensibilmente, ma che tendono ad attraversare fasi molto simili: riconoscimento, identificazione, organizzazione, struttura, complicazione. La storia di Stella Raphael è una delle più tristi che io conosca».
Così prende vita il romanzo, cominciando con la narrazione di Peter Clave, uno psichiatra che ci racconta la storia di Stella, moglie di Max, vicedirettore del manicomio, e madre di Charlie. Nella struttura psichiatrica Stella conosce Edgar Stark, paziente in semilibertà che passa ogni giorno a prendersi cura della serra nel suo giardino: «Edgar aveva ucciso sua moglie a martellate, e ne aveva mutilato il cadavere. Al processo, due psichiatri avevano testimoniato che soffriva di psicosi paranoide, e la corte aveva emesso il verdetto di infermità mentale richiesto dalla difesa»
L’artista affascinante e manipolatore entra nella vita di Stella e tra i due scoppia una grande ossessione, a causa della quale la salute mentale della donna va in pezzi: «Avrebbe dovuto sapere che l’inganno corrode l’integrità di un matrimonio, e tenerne conto, ma non lo fece. Scelse di non farlo, e da questa scelta di comodo seguì tutto il resto».
Edgar di lì a poco con un inganno scappa dal manicomio, tanto da far venire il dubbio se egli amasse veramente Stella o il suo avvicinamento alla donna fosse solo un modo per evadere, e la protagonista, ormai ossessionata dall’amore di Edgar, scappa per raggiungerlo: «Aveva perso il controllo. Non si controlla un innamoramento, mi disse, non è possibile. E la divertiva che fosse potuto accadere in questo modo, con quest’uomo. Un paziente. Un paziente che lavorava nell’orto. Stella, le dissi, non potevi fare una scelta più scriteriata. La verità, mi rispose, è che non ho scelto affatto».
Stella trascorre con Edgar tre settimane in un rifugio di vagabondi, artisti e criminali, ma dopo Edgar manifesta di nuovo segni di squilibrio. Inizia la violenza nei confronti di Stella, che scappa e riesce a tornare a casa dal marito e dal figlio, solo che la sua vita non ritorna come prima, infatti lei cade nella più profonda depressione, tanto da rimanere inerme davanti al figlio che annega in uno stagno gelato, durante una gita nel bosco.
Stella viene arrestata per non aver cercato di salvare il figlio, ma questa volta anche il marito Max l’abbandona e così Stella finisce nello stesso manicomio dove aveva conosciuto Edgar. Il medico che la prende in cura è Peter che, dopo numerose cure con massicce dosi di psicofarmaci, dichiara Stella sana e pronta a ricominciare una nuova vita. Il punto, però, è che lo psichiatra viene ammaliato lentamente dalla sua paziente e anche se ormai anziano, le propone di sposarlo.
La donna accetta, ma per lei non c’è più niente per cui vivere e così Stella…perde tutto: suo figlio, suo marito, il suo amante, la sua razionalità.
Patrick McGrath nella sua scrittura è elegante, ma semplice. Riesce a far capire ogni cosa con estrema facilità. A volte ciò che racconta è così tremendo che, raccontato in quel modo, ci fa pensare di avere capito male, perché il racconto non si adatta affatto alla pacatezza del linguaggio utilizzato. È una sensazione che deriva dal fatto che il narratore è uno psichiatra, per cui il suo occhio clinico ci accompagna per tutta la lettura e ci racconta ciò che è successo senza alcun evidente sussulto emotivo.
Si ha l’impressione che lo scrittore conduca il lettore nelle spirali della mente umana. Le domande, le riflessioni, le sorprese e i dubbi sono elementi che accompagnano per tutto il romanzo.
Pensavo di distinguere la storia d’amore dal romanzo psicologico, ma poi ho cominciato a capire che l’amore è il disturbo psicologico. È un tema delicato quello dell’amore malato con tutte le sue conseguenze e questo è un libro che fa riflettere sul leggero equilibrio della psiche umana e sulle sue fragilità: il confine tra la follia e la salute mentale è molto sottile. Si tratta di una prospettiva completamente diversa rispetto all’amore romantico, perché mostra i lati più oscuri di questo sentimento umano.
Alla fine del libro ci si troverà a decidere se la follia è solo nell’amore vissuto dai protagonisti o in chi cerca di trovare una sorta di ragione dall’occhio clinico che ce la racconti. Il fatto è che Follia è un libro crudo, amaro, forte. Ci mostra le nostre fragilità e quanto siano alte le probabilità di cadere in una spirale senza via d’uscita, che è quello che è successo a Stella.
Ecco, Follia è tutto questo, ma è anche:
Mancanza: di un marito, di una vita degna di essere vissuta, di una persona da avere accanto;
Impossibilità di scelta: tra un nuovo amore e la famiglia, ormai però andata a pezzi;
Illusione: di aver ritrovato la passione, di tornare a vivere, ad amare;
Solitudine: aver perso quello che dà speranza, amore e felicità, vivere di inerzia;
Presa di posizione: di ritornare da chi ti ama, ricerca esasperata di quello squarcio di luce, purtroppo, non va a buon fine;
Disperazione: di lasciare i cari annegare, toccare il fondo;
Riscoperta: è nel manicomio che si riscopre sé stessi, che si raggiunge un nuovo equilibrio;
Nuovo equilibrio: stabilità, un nuovo inizio con un nuovo amore, convincersi che si può andare avanti comunque;
Limite: superamento del limite umano, suicidio.
Ma qual è, quindi, il limite umano?
Mi viene in mente l’immagine di quando hai il motore della macchina danneggiato e hai bisogno che sia riparato. Se lo sforzi, peggiori la situazione e rischi di arrivare a una situazione irreversibile. Così spegni tutto, ti fermi e chiami qualcuno che ti aiuti a portare la macchina dal meccanico: metti in pausa il motore, altrimenti rischia di scoppiare.
Non bisogna forzare la situazione, altrimenti è ancora più complicato tornare indietro. Bisogna fermarsi; se si ha bisogno di piangere, allora bisogna farlo, in fondo nasciamo piangendo.
La crisi è un aspetto della vita meno raro di quanto a volte si creda. Prima o poi capita a tutti di ritrovarsi nel bel mezzo di una crisi esistenziale, grande o piccola che sia e non si sa come liberarsi dal malessere. Non si deve però superare il limite: noi siamo esseri limitati, macchiati dalla finitudine ed è per questo che poi torniamo sempre al punto di partenza. È la mancanza che ci muove…e il ciclo ricomincia.
P. McGrath, Follia, Adelphi, Milano 1998.
di Patrizia Bruno della 4D del Liceo “Da Vinci” di Bisceglie.
Patrizia Bruno é una giovane ragazza di 16 anni, orgogliosamente di origini campane.
Nata a Capua, da 5 anni vive a Bisceglie, in Puglia, nella quale continua il suo percorso scolastico. Quando non é seduta tra i banchi di scuola, le piace passare le giornate leggendo libri in compagnia del suo gatto. Le sue più grandi passioni sono la danza e la fotografia.
Qui troverai tutti i contributi a Agorà, la Filosofia in Piazza
a cura di Michele Lucivero
Qui la pagina Facebook Agorà. Filosofia in piazza