Sebastiano Malamocco con un suo articolo pubblicato su geograficamente.wordpress.com e il Comitato Veneto per una Pedemontana alternativa sostengono che la Superstrada Pedemontana Veneta non risponderà alle esigenze dei territori per cui è nata. “Con lui e altri di Legambiente Veneto abbiamo redatto una proposta di riconnessione al territorio nel 2017, a partire dalla ricucitura eliminando i caselli e connettendo la SPV alla ferrovia locale. Oggi nel 2021 di fatto è stata costruita come un tubo chiuso, idea che ha chiarito in modo esplicito l’ing. Bergamin, invece quando fu concordata con il governo di cui era ministro Nereo Nesi, con il sostanziale contributo del senatore dei Verdi Sarto, doveva trattarsi di un tubo aberto il più possibile alle esigenze dei territori che attraversava – sostengono in un comunicato Matilde Cortese Massimo M. Follesa Elvio Gatto portavoce Co.Ve.P.A. -. Dopo 20 anni da quelle situazioni ci troviamo una superstrada chiusa al traffico locale di cui la stessa Regione Veneto e Luca Zaia vogliono disfarsene tanto da avviare un procedimento per ottenere la classificazione di autostrada della Pedemontana Veneta con la “DGRV n. 284 del 16 marzo 2021 Superstrada Pedemontana Veneta. Avvio della procedura di classificazione da “Superstrada” ad “Autostrada”. Si seppeliscono così le velleità territoriali e si appesantisce per altri quaranta anni questa parte il Veneto con i limiti della “old economy” con le aggravanti di un territorio piccolo”.
La SPV, in funzione ora da Malo a Montebelluna, servirà alla conurbazione pedemontana vicentina-trevigiana per il predominante traffico locale? Come in origine voluto? Pare proprio di no: un monito di “come non fare”, per le prossime opere del Recovery Fund europeo.
“Viene da pensare che si poteva fare di meglio – scrive Malamocco -. E che adesso ci dobbiamo rassegnare ad avere un’opera non adatta a quello che era lo scopo iniziale, prioritario: cioè far circolare meglio gli abitanti della pedemontana trevigiana e vicentina, togliendo traffico alla direttrice Schiavonesca-Marosticana. Tra poco partiranno molti cantieri (grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e ai finanziamenti europei connessi). E si vorrebbe che la trasformazione della mobilità in Italia, infrastrutturale, logistica, geografica, avvenga con opere effettivamente utili, necessarie e, in ogni caso, che risolvano veramente le carenze per le quali sono state pensate. E cioè: 1-superare la difficoltà a muoversi da un luogo all’altro; 2-aiutare zone marginali a collegarsi economicamente ai centri; 3-non impattare sul territorio e sull’ambiente e perlomeno trovare la migliori forme di mitigazione per non danneggiare popolazioni e ambienti di pregio; 4-inquinare di meno o per niente. E così – proseguono gli esponenti del CoVePa – la Superstrada pedemontana veneta a nostro avviso può essere un esempio di come non dev’essere fatta una strada per rispettare e assolvere ai compiti che ci si aspetta da opere di così grande rilevanza. Innanzitutto va rilevato che è “superstrada” solo di nome: a detta di tutti (anche di chi la ha così voluta e costruita), nella conformazione, nella segnaletica, specie poi nei caselli… è un’autostrada; e costruita con un metodo tradizionalissimo ormai superato dai tempi, in tutto il mondo. Ci riferiamo alla sua “rigidità”, ai caselli autostradali anziché a forme automatizzate di esazione del pedaggio (bastavano dei portali e con pagamenti anche addebitabili nei telefonini degli automobilisti, o con lettura automatica della targa….) (lo spreco territoriale di costruire i caselli è enorme: far convogliare le corsie di traffico in un unico luogo richiede una grande quantità di terreni, di ettari utilizzati). Inoltre i caselli autostradali che ci saranno nella SPV, nei 95 chilometri quando sarà completata coi rimanenti 35 chilometri (in tutto i caselli saranno 14) mostrano che non può collegarsi con la maggior parte delle strade nord-sud di una certa importanza che la SPV incontra nel suo percorso est-ovest. Il progetto politico originario era di fare una strada che fosse nient’altro che la “variante” all’attuale strada Schiavonesca-Marosticana: cioè in pratica si chiedeva di costruire un continuum di circonvallazioni per tutti i centri della Pedemontana veneta; una “grande circonvallazione” connessa con tutte le strade provinciali e comunali di un certo interesse che la intersecavano. Ne è invece uscita un’autostrada con, come dicevamo, caselli tradizionali che niente hanno a che vedere con la viabilità locale, intercomunale; viabilità locale che risulta essere l’80% del traffico attuale. Pertanto la SPV a niente servirà al traffico da un comune all’altro. L’assoluta rigidità di quest’opera, ripetiamo, con i suoi caselli autostradali, è peraltro dimostrata dalla necessità di essere contornata in futuro di una sessantina di chilometri di nuove opere di adduzione (altre strade di collegamento, rotatorie, cavalcavia, sottopassi, etc…..da fare) per risolvere i problemi di viabilità che ci saranno nei comuni interessati dai caselli (e già i sindaci dei comuni temono un aumento di traffico di passaggio nei propri centri, si stanno preoccupando…). Un’opera che da opportunità per dei territori diviene una servitù di passaggio. Il collegamento facilitato da un comune all’altro significa che, geograficamente, la conurbazione data dall’area pedemontana trevigiana e vicentina rappresenta oramai da molto tempo di fatto un’unica area metropolitana: data da un’urbanizzazione diffusa (e molto confusa…), e con relazioni continue ed affollate tra frazioni, paesi, zone rurali, cittadine, tragitti casa-lavoro, zone industriali e produttive, uffici pubblici, terziario, servizi scolastici, strutture sanitarie che si intrecciano tra loro in un dialogo costante, quotidiano, e che avrebbero bisogno di una viabilità connessa da luogo a luogo, a pettine con l’esistente; e che il progetto di una “circonvallazione” variante alla strada regionale 248 aveva ben previsto nel piano di traffico regionale del 1990 (e che invece adesso, dopo più di trent’anni, ci ritroviamo con la SPV, che nulla ha a che vedere con questa necessità).
Fallito così il progetto originario, resta un’opera che però il Veneto, i veneti, si dovranno accollare pure finanziariamente (e non solo per i pedaggi quasi il doppio delle odierne autostrade) per i prossimi 39 anni di concessione alla società che la ha realizzata e la gestirà (visti i livelli mediocri di traffico prevedibili rispetto all’impegno finanziario). Così che noi e le future generazioni ci sobbarcheremo un costo che da quello odierno di costruzione di quasi 3 miliardi, nei 39 anni di gestione privata arriverà a 12 miliardi di euro – afferma ancora il CoVePa -. Convinti poi, come siamo, che, come accade sempre con le grandi opere, brutte e/o inutili, che “ci faremo l’occhio”, ci si rassegnerà all’esistenza di questa cosa; magari ci servirà ogni tanto per andare lontano (o al nuovo centro commerciale fuori dal casello), mantenendo inalterati i disagi del traffico locale da comune a comune nella nostra quotidianità. Questo per dire – conclude il comunicato – che se grandi opere nasceranno nei prossimi mesi e anni (fino al 2026) con il Recovery Fund europeo, è auspicabile di non commettere gli errori che stanno portando alla realizzazione finale, così com’è, della superstrada pedemontana veneta.